I negoziati sul clima di Tianjin ai quali hanno partecipato 177 paesi si sono conclusi con risultati soltanto parziali. Secondo Jonathan Pershing, inviato speciale americano sul clima “non abbiamo ancora trovato una strada per il successo”, e si è posticipata la risoluzione dei problemi rinviandola al vertice di Cancun, previsto per fine anno.
Più ottimista è invece Christiana Figueres, segretario generale dello United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) secondo la quale, a Tianjin, si è fatta chiarezza sui punti da discutere al prossimo vertice ovvero la ricerca di strumenti operativi economici e tecnologici volti a facilitare l’accesso alle energie pulite per i Paesi in via di sviluppo. Accesso per il quale è stato stanziato anche un primo fondo di 30 miliardi di dollari la cui allocazione, discussa ma non decisa, sarà attribuita durante il vertice messicano. Questione di punti di vista.
Fortunatamente unica, contraria ed ostinata è la posizione della Cina, Paese che ad oggi conta le emissioni di inquinanti più imponenti del pianeta, e che rimane fermo nell’esigere che siano solo i Paesi sviluppati, responsabili di fatto del disastro attuale, a preoccuparsi di limitare le immissioni di gas inquinanti nell’atmosfera. Essa, ritenendosi un Paese in via di sviluppo, continua a rivendicare il suo diritto ad inquinare come hanno fatto in precedenza gli altri. Vedendo nel vecchio, obsoleto, disastroso modello di sviluppo classico un male necessario e la via più breve per la ricchezza, la Cina si rifiuta di fissare obiettivi quantificabili e verificabili di riduzione delle emissioni.
Trova tristemente tutti d’accordo, invece, la decisione di stanziare un fondo finanziario a lungo termine per affrontare i cambiamenti climatici, i cui dettagli rappresenteranno un altro oggetto di discussione a Cancun. Tra le buone notizie quella che la Cina sta comunque investendo massicciamente anche in programmi di energia rinnovabile e la magra consolazione di non aver registrato alcun passo indietro da parte di nessun Paese rispetto agli accordi presi a Copenhaghen.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti lamentano progressi limitati, in particolare a riguardo delle delicate questioni della trasparenza e dell’impegno alla riduzione delle emissioni sperando nel vertice messicano. Il 14 ottobre prossimo si terrà un incontro comunitario per definire la linea comune ed accordarsi sulle posizioni che l’UE intende tenere nella conferenza di Cancun.
E l’Italia? L’Italia, spiega il direttore generale del ministero dell’Ambiente Corrado Clini, chiederà di ”non aprire una seconda fase” del protocollo di Kyoto, con l’aumento dei tagli della CO2 dal 20% al 30% che definisce essere un’opzione ”non utile al negoziato’‘. C’è forse da temere che la posizione Cinese si renda modello o peggio, più sottilmente alibi per i paesi più attaccati ai vecchi vizi?
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