
Ciclo di coltivazione delle piante e cambiamenti climatici: l’apoteosi del disastro

Secondo uno studio realizzato dal WWF in una delle province di Sumatra, esiste uno stretto rapporto tra il fenomeno della deforestazione, i cambiamenti climatici e l’estinzione di specie rare come la tigre di Sumatra.
Più di 4 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati distrutti negli ultimi 25 anni, e i dati si riferiscono alla sola provincia di Riau!
Il nostro Paese è, purtroppo, uno tra i principali importatori di legname.
Il disboscamento provoca un’alta immissione di CO2 nell’atmosfera, con gravi conseguenze per il clima dovute all’effetto serra.
La distruzione delle foreste comporta la scomparsa degli habitat di alcuni animali, seriamente a rischio estinzione.
Riau ha perso il 65% del totale delle sue foreste e di conseguenza l’84% degli elefanti e il 70% delle tigri.
Attualmente a Riau ci sono soltanto 210 esemplari di elefanti e 192 tigri.
L’Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un immenso paese da proteggere: l’Amazzonia è il nostro futuro. Questo l’appello-monito di Greenpeace per il più grande polmone verde della Terra. Solo poco più di un quinto delle foreste originarie del pianeta è rimasto preservato, di quelle che restano almeno la metà è seriamente minacciata dalle attività minerarie ed agricole dell’uomo, ma soprattutto dallo sfruttamento ai fini dell’estrazione commerciale del legname.
Con i suoi 370 milioni di ettari l’Amazzonia brasiliana rappresenta la più grande estensione al mondo di foresta primaria, un terzo delle foreste totali di tutto il pianeta. Le multinazionali del legname oggi stanno mettendo a repentaglio l’integrità di questo patrimonio naturale. Dopo aver devastato le risorse forestali del Sud Est asiatico e dell’Africa Centrale, le grandi compagnie del legname asiatiche, nordamericane ed europee si stanno ora spostando sull’Amazzonia brasiliana.
Si tratta di compagnie che hanno una pessima fama per i loro abusi sociali ed ambientali.
Secondo un recente studio degli ecologisti dell’Università della California Irvine, pubblicato su Science Daily, l’eccesso di azoto nelle foreste tropicali stimola la crescita delle piante del 20%, dimostrando non valida la precedente convinzione che tali foreste non fossero molto interessate dall’inquinamento da azoto.
La più rapida crescita delle piante dimostra come ai Tropici vi sia una maggior quantità di biossido di carbonio di quanto non si era sinora creduto. E l’inquinamento da azoto è destinato ad aumentare considerevolmente nel corso di questo secolo, con gravi conseguenze per il geoclima. L’incremento dell’inquinamento interesserà anche regioni tropicali in via di sviluppo come l’India, il Sud America, l’Africa e il Sud-Est Asiatico. Concimi azotati, applicati a terreni agricoli per migliorare la resa delle colture, evaporano infatti nell’atmosfera, tramite le acque che irrigano le coltivazioni intensive. Per non parlare delle immissioni nell’aria dei gas industriali.
“Ci auguriamo che i nostri risultati contribuiscano al miglioramento delle pessime condizioni in cui versa il nostro pianeta”, ha dichiarato David LeBauer, uno dei ricercatori UCI e autore principale dello studio. Utilizzando dati provenienti da più di 100 studi pubblicati in precedenza, LeBauer e Kathleen Treseder, professore associato di ecologia e biologia evolutiva a UCI, hanno analizzato l’effetto dell’azoto sui tassi di crescita dei più diversi ecosistemi: dalle foreste tropicali alle praterie della tundra.
I ricercatori hanno riscontrato in tutti, tranne che nei deserti ovviamente, un aumento della crescita delle piante dovuta ad azoto.
«Con il cambiamento climatico, gli anni passati non sono necessariamente rappresentativi per il futuro», «Questo lavoro dimostra che il modo in cui sono stati condotti gli affari nel passato non funzionerà a lungo con un clima che cambia».