Picco del petrolio previsto per il 2030. E dopo cosa succederà?

giacimento di petrolio

Il dibattito sul momento esatto in cui raggiungeremo il “picco del petrolio” è irrilevante. Non importa quali siano i nuovi giacimenti di petrolio scoperti, la produzione globale di petrolio comincerà a diminuire al massimo nel 2030.

Questa è la conclusione della relazione più completa effettuata fino ad oggi sulla produzione mondiale di petrolio, pubblicata il 7 ottobre scorso dal UK Energy Research Centre. La relazione, che passa in rassegna oltre 500 studi di ricerca, suggerisce che la produzione globale di petrolio potrebbe raggiungere il picco in qualsiasi momento da adesso fino al 2030. Spiega Steve Sorrell, principale autore dello studio effettuato presso l’Università del Sussex nel Regno Unito:

Ad ogni modo, la nostra ricerca dimostra che la differenza, anche tra l’ipotesi più pessimista e quella più ottimista, è di soli 15-20 anni.

Un altro grande fiume rischia di sparire: il Colorado

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C’è una chance su due che l’acqua dei serbatoi del Colorado River sarà completamente prosciugata entro il 2050 se le pratiche di gestione delle risorse idriche rimarranno invariate in un mondo in cui la temperatura si sta sempre più elevando. Circa 30 milioni di persone (soprattutto in Arizona e California del Sud) dipendono dal fiume Colorado per bere ed irrigare i campi.

Il sistema del fiume Colorado “festeggia” in questi giorni il decimo anno di siccità, con la riserva idrica che attualmente è al 59%. Studi precedenti hanno messo in guardia verso la potenziale scarsità d’acqua risultante dai cambiamenti climatici. La crescita della popolazione della regione continua ad esercitare pressioni sulle risorse idriche del deserto occidentale, aggravando ulteriormente la situazione.

La fame nel mondo continua ad aumentare, le nuove cause sono siccità, crisi economica e inondazioni

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Nel 2009, la popolazione di persone malnutrita si calcola sia superiore ad un miliardo per la prima volta in base alle nuove stime pubblicate dalla FAO. È difficile immaginare 1 miliardo di persone, e per questo si tende a sottovalutare tale dato. Il più recente aumento registrato dalla FAO non è la conseguenza della scarsa raccolta di cibo a livello mondiale, ma è dovuto in larga parte alla crisi economica mondiale che ha portato ad abbassare ulteriormente il reddito delle famiglie e ad incrementare la disoccupazione.

Il secondo problema che riguarda la sicurezza alimentare è la desertificazione, le inondazioni, l’adattamento delle comunità alla tecnologia moderna, la stagionalità delle colture alimentari e le corrispondenti scarsità dei raccolti. Ma c’entra anche la qualità dell’alimentazione, che vede un incremento di mancanza di ferro, con conseguente anemia, e tabù che inibiscono le persone a mangiare cibi che sono ancora disponibili (ad esempio le mucche in India).

La siccità australiana provoca acidificazione nel terreno e problemi di salute

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Non appena il livello d’acqua di due laghi australiani scende, la minaccia dell’inquinamento da polveri di acido solforico aumenta. I funzionari stanno cominciando a preoccuparsi del fatto che per pompare l’acqua dolce artificiale nei due laghi per proteggere la foce del fiume Murray, si mantengono i livelli dei laghi sotto la sufficienza d’acqua. In più diminuendo i livelli delle acque, il letto dei laghi rilascia degli acidi che si trasformano, con l’esposizione all’aria, in un disastro ecologico, e una minaccia per la salute delle persone che vivono vicino ai laghi stessi.

EcoWorldly riporta un articolo che affronta i grandi problemi del prosciugamento dei laghi al di là della semplice perdita di acqua dolce. Il problema è che quando vengono esposte all’aria, le sostanze presenti nei suoli composte per larga parte da acido solforico, non possono essere mantenute artificialmente elevate a causa dei problemi di siccità. Il Governo sta cercando di risolvere il problema attraverso un “biorimedio“, un’iniziativa che include l’impianto di alcune specie di vegetali che diffondono particelle di calcare nei terreni esposti.

WWF lancia allarme recessione ecologica

Stiamo divorando il nostro Pianeta. Questo il grido d’allarme lanciato dal WWF (World Wildlife Fund) nel Living Planet Report 2008, una relazione sull’impronta ecologica dell’uomo stilata in collaborazione con la Società Zoologica di Londra e il Global Footprint Network.
Quella in corso è una vera e propria recessione ecologica, che potrebbe portare l’uomo ad aver bisogno di un altro globo in cui vivere per mantenere gli stessi assurdi standard di consumi, sfruttamento, inquinamento, distruzione che ha attualmente.

Un altro mondo da distruggere, per intenderci. Seguendo l’andamento odierno, infatti, la Terra diventerebbe inutilizzabile, completamente sfiancata, stremata, vuota, sterile già a partire dal 2035.
Dall’ultimo rapporto stilato dal WWF, due anni fa, le cose sono precipitate.

Il mondo senza petrolio raccontato da Dario Fo

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Inutile negarlo: il petrolio non è una fonte inesauribile. Prima o poi le riserve dell’oro nero finiranno e la nostra vita cambierà inesorabilmente. Secondo il celebre drammaturgo Dario Fo, il vertiginoso aumento del prezzo del petrolio è legato alla scarsità delle risorse del greggio.
Nel libro L’apocalisse rimandata- ovvero benvenuta catastrofe! (ed. Guanda, 15,00 euro), Fo immagina cosà ci accadrà quando il petrolio sarà realmente finito.

La fine del petrolio: squilibrio nel consumo tra Paesi del Nord e Sud del mondo

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La consapevolezza che il petrolio e le fonti fossili, ed in generale l’energia, fossero beni illimitati, da utilizzare con parsimonia, è un’acquisizione recente dell’umanità. All’orizzonte c’è infatti una linea rossa: la fine del petrolio.

Quanto dureranno le riserve di petrolio? Secondo la ExxonMobil , la maggiore compagnia petrolifera, i giacimenti petroliferi sono sufficienti, ai ritmi attuali, per la fornitura di petrolio fino al 2050. Secondo la BP Amoco, la seconda compagnia petrolifera, i giacimenti accertati sono, sempre ai ritmi di consumo attuali, sufficienti fino al 2044. La U.S. Geological Survey dopo uno studio durato cinque anni, ha concluso che il mondo ha riserve sufficienti per circa 80 anni ai ritmi di consumi attuali, circa due mila e trecento miliardi di barili, (313 miliardi di tonnellate). Ci sono poi i geologi del King Hubbert Center della Colorado School of Mines che ritengono che la produzione dell’oro nero toccherà il suo picco in questo decennio con 85 milioni di barili al giorno per poi scendere drammaticamente a 35 milioni nel 2020. Nessuno può dire con certezza quanto petrolio rimane, quasi tutti concordano che metà sia già esaurito.

Varese Ligure, il paese più ecologico che ci sia

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Dopo avervi parlato dell’ecologica Curitiba in Brasile, torniamo nella nostra Italia e vediamo, tra comuni ricicloni ed amministrazioni che si orientano a scelte di consumo sostenibile, a chi va il titolo di città più ecologica dello stivale.

Lo scettro simbolico tocca a Varese Ligure, un comune di 2.400 abitanti tra Parma e La Spezia che ha deciso di puntare tutto sulla sostenibilità per non rimanere deserto ed offrire una possbilità di lavoro ed uno stile di vita sano alla sua popolazione.

Rischio ambientale del petrolio: occorre legislazione più decisa

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Oggi l’impiego del petrolio è vastissimo, basti pensare ai carburanti che muovono le nostre macchine, oppure alla plastica con cui sono realizzati la maggior parte degli oggetti. Ma le sue origini sono antiche: l’asfalto, che è un suo derivato, fu impiegato nella costruzione della città di UR in Mesopotamia già nel 3000 a.C., per l’edificazione della Torre di Babele, e per vari secoli fu usato come impermeabilizzante e legante. Il petrolio è un insieme di sostanze naturali che si trovano normalmente associate alle rocce sedimentarie e derivano dalla trasformazione/decomposizione di sostanze organiche che, anzichè essere distrutte dai normali processi naturali, si conservano e si accumulano nel sottosuolo per milioni di anni all’interno delle rocce sedimentarie stesse che via via si formano.

Nel 2006 in Ecuador una fuga di petrolio dall’acquedotto della Petroecuador ha inquinato parte della riserva naturale di Cuyabeno nel nordest del paese (si tratta dell’ultima parte di foresta amazzonica, quella più vicina alle Ande).

Allarme: i metalli si stanno esaurendo

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Vi siete mai chiesti come mai ogni tanto si sente di furti di rame dalle linee ferroviarie? Questo è ormai un fenomeno diffuso, e a differenza di tanti malcostumi della società italiana, almeno su questo non siamo i soli. Infatti il fenomeno del furto del metallo “povero” avviene già da anni anche in Germania e in Polonia.

Il motivo? Il rame sta finendo, e il suo prezzo sul mercato è triplicato negli ultimi due anni. La causa principale di questo aumento sconsiderato del prezzo di uno dei metalli meno considerati della storia è che il mercato asiatico sta diventando troppo esigente e la richiesta di rame aumenta di giorno in giorno. Se a questo poi aggiungiamo che, soprattutto in Italia, viene molto spesso sprecato, si capisce come mai ora stia diventando quasi più prezioso dell’oro.

Dall’Amazzonia dipende il nostro futuro

L’Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un immenso paese da proteggere: l’Amazzonia è il nostro futuro. Questo l’appello-monito di Greenpeace per il più grande polmone verde della Terra. Solo poco più di un quinto delle foreste originarie del pianeta è rimasto preservato, di quelle che restano almeno la metà è seriamente minacciata dalle attività minerarie ed agricole dell’uomo, ma soprattutto dallo sfruttamento ai fini dell’estrazione commerciale del legname.

Con i suoi 370 milioni di ettari l’Amazzonia brasiliana rappresenta la più grande estensione al mondo di foresta primaria, un terzo delle foreste totali di tutto il pianeta. Le multinazionali del legname oggi stanno mettendo a repentaglio l’integrità di questo patrimonio naturale. Dopo aver devastato le risorse forestali del Sud Est asiatico e dell’Africa Centrale, le grandi compagnie del legname asiatiche, nordamericane ed europee si stanno ora spostando sull’Amazzonia brasiliana.
Si tratta di compagnie che hanno una pessima fama per i loro abusi sociali ed ambientali.

Il Grande piano solare: dagli Stati Uniti nuove strategie energetiche

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Il 69% dell’energia elettrica consumata da un Paese che brucia più degli altri, gli Stati Uniti, potrebbe essere ricavata dall’energia solare. E’ questo lo straordinario progetto presentato sulla rivista statunitense Scientific American.
Per coprire il fabbisogno annuale del Paese sarebbero sufficienti 40 minuti di energia solare. Spiegato con unità di misura più concrete, la riconversione del 2,5 % dell’energia solare che colpisce il Sud-Ovest degli USA basterebbe a coprire quanto consumato dal Paese nel 2006. Oggi l’energia proveniente dal sole equivale solo al 6% del totale, secondo il Grande piano solare è destinata ad aumentare fino al 69% con la produzione di ben 3000 gigawatt.

Tagli all’acqua, a causa del riscaldamento globale

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Non c’è più acqua, o almeno non ce n’è più come un tempo. Un articolo pubblicato su Science (1 febbraio 2008) da un gruppo di esperti di idrologia e climatologia richiama l’attenzione su un fenomeno che rischia di essere sottovalutato.

Spiega uno dei coautori Tennis Lettenmaier, professore di ingegneria civile alla University of Washington:

«Con il cambiamento climatico, gli anni passati non sono necessariamente rappresentativi per il futuro», «Questo lavoro dimostra che il modo in cui sono stati condotti gli affari nel passato non funzionerà a lungo con un clima che cambia».

Quando parla di affari Lettenmaier si riferisce a quelli degli Stati Uniti, e in particolare ai 500 miliardi di dollari annui per le infrastrutture idriche. Questi calcoli andavano bene finchè reggevano gli schemi classici di una variazione costante nelle risorse idriche. Ma l’interferenza umana ha prodotto grandi cambiamenti nel clima del nostro pianeta. Pioggia, neve, correnti: tutto è cambiato, fenomeni fondamentali per chi deve gestire le risorse di acqua e calcolare i periodi di siccità o la probabilità di una qualche catastrofe legata al clima, come inondazioni o uragani.
I risultati della ricerca si estendono dunque ben al di là dei confini statunitensi, e investono l’intero pianeta. «Storicamente, guardare alle osservazioni passate si è rivelato un buon metodo per stimare le condizioni future», interviene Christopher Milly, idrologo del Us Geological Survey. «Ma il cambiamento climatico moltiplica le possibilità che il futuro porti inondazioni mai riscontrate nelle vecchie misurazioni».

Il passato è morto, dicono in sostanza i ricercatori, e anche se riuscissimo a ridurre di molto le emissioni di gas serra, il riscaldamento persisterà e lo schema globale delle acque continuerà a mostrare comportamenti mai visti in precedenza.
Naturalmente la situazione cambia a seconda della regione geografica: «Le nostre stime migliori attualmente ci dicono che la disponibilità d’acqua crescerà sostanzialmente nel nord dell’Euasia, in Alaska, in Canada e in alcune regioni tropicali, e decrescerà sostanzialmente in Europa, nel Medio Oriente, nel sud dell’Africa e nel Nord America sudoccidentale», dice Milly.