Wangari Maathai nei ricordi del Green Cross: “Piantiamo i semi della pace, ora e per il futuro”

La causa ecologista è un aspetto importante della pace perché nel momento in cui le risorse si rarefanno, noi ci battiamo per riappropriarcene. Piantiamo i semi della pace, ora e per il futuro (Wangari Maathai).

Non è facile esprimere con le parole il vuoto che si è creato con la scomparsa della pacifista e ambientalista kenyana Wangari Maathai; molto ha fatto per il suo Paese e per le donne, alle quali ha assicurato l’accesso alle risorse primarie come legna, per cucinare, e acqua pulita.

Ambiente, 40.000.000 di alberi piantati da Wangari Maathai

40 milioni di alberi sono stati piantati in tutta l’Africa da Wangari Maathai, premio Nobel per la pace nel 2004 scomparsa a Nairobi il 25 settembre 2011. Tutti ricordano il suo impegno per l’ambiente e per lo sviluppo sostenibile nella sua Terra e nel mondo, la lotta per la pace e la democrazia. La professoressa di biologia e assistente Ministro per l’Ambiente e le Risorse Naturali, ci ha lasciato all’età di 71 anni

dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro il cancro.

Petrolio causa un disastro ambientale all’anno in Nigeria, ma il mondo non lo sa

Nonostante un passato di palesi violazioni ambientali e dei diritti umani in Nigeria, la Shell ha respinto in un’udienza pubblica olandese le accuse rivoltegli questa settimana sull’utilizzo di “versioni non trasparenti, inconsistenti e fuorvianti”, per quanto riguarda le cause della fuoriuscita di petrolio nel Delta del Niger.

L’udienza è stata voluta dalla commissione degli Affari economici del Parlamento olandese dopo che Amici della Terra ed Amnesty International hanno presentato una denuncia ai funzionari dei Paesi Bassi. Ian Craig, capo della Shell Exploration & Production per l’Africa sub-sahariana, ha spiegato che loro hanno delle responsabilità su ciò che sta avvenendo nel Paese, ma che non tutto ciò che accade è colpa loro.

Tartarughe: uccisi migliaia di esemplari in Madagascar nonostante i divieti

In Madagascar la tartaruga verde marina in via di estinzione è protetta dalla legge. Un nuovo studio, tuttavia, ha scoperto che la pesca artigianale nelle regioni più remote potrebbe essere responsabile della morte di ben 16.000 tartarughe ogni anno.

Il divieto di caccia evidentemente non funziona, ed è giunto il momento, dicono i ricercatori, di studiare piani per la conservazione alternativi. Lo studio è importante non solo per le conclusioni a cui arriva, ma anche perché, per raccogliere i dati in questi insediamenti costieri a distanza, i ricercatori hanno impiegato i residenti, coinvolgendoli nel lavoro di tutela della tartaruga. I partecipanti erano tenuti a fare un conteggio delle catture giornaliere ed a scattare una fotografia di ciascuna tartaruga.

Elefanti e avorio, un binomio a rischio estinzione

L’allarme per la biodiversità e per gli elefanti, massacrati per l’avorio venduto nel mercato nero e diretto in Cina, è lanciato dalla scrittrice Kuki Gallmann, nata in Italia ma naturalizzata in Kenia.

L’autrice di Sognavo l’Africa, il famoso best seller da cui è stato tratto il film con Kim Basinger, denuncia la mattanza degli elefanti e chiede al mondo una risposta

Creando e mantenendo vivo il mercato dell’avorio si è colpevoli allo stesso modo del bracconiere che spara e uccide un animale in Africa. Se volete comprare l’avorio ricordate che avete la stessa reponsabilità di un bracconiere che uccide questi animali. Siete responsabili della morte di un animale africano che un giorno non esisterà più, perché gli elefanti diventeranno come i mammuth.

Baby megattera, una nascita in diretta in Madagascar

Sotto gli occhi stupiti di un gruppo di turisti in vacanza all’isola dei pirati, nel largo di Sainte Marie, in Madagascar è nato un piccolo di megattera. La nascita ha lasciato tutti col fiato sospeso e ha dato testimonianza, l’unica documentata, di una nascita in diretta di un balenottero.

A filmare il lieto evento è stata una ricercatrice venezuelana, Maria Faria, biologa esperta nelle specie marine a rischio estinzione che ora ha dato il nome al piccolo di balena, Marie. La biologa era in Madagascar per verificare le condizioni delle balene al largo della costa orientale dell’Africa, come ecovolontaria dell’Associazione CétaMada, per la protezione dei mammiferi marini nel Madagascar.

Rischio estinzione specie acquatiche Africa, l’allarme dell’IUCN

La perdita della biodiversità è uno dei problemi più impellenti che i Governi di tutto il mondo devono affrontare in questo periodo, forse anche più rispetto all’inquinamento. Fare a meno della biodiversità significa infatti perdere risorse basilari per il sostentamento umano, significa perdite economiche, e soprattutto messa in pericolo di intere aree geografiche.

La situazione poi diventa ancor più preoccupante quando si tratta dell’Africa, come sottolinea l’ultima ricerca pubblicata dall’IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura), la quale ha stabilito che oltre una specie su cinque (circa il 21%) che abita le zone umide del Continente nero è a forte rischio di estinzione.

Biocarburanti, allarme fame in Africa per furto coltivazioni alimentari

Del paradosso dell’ecologia, i biocarburanti di prima generazione, abbiamo discusso di frequente sulle pagine di Ecologiae. Oggi torniamo a parlarne in virtù dell’allarme lanciato da un nuovo rapporto diffuso dall’associazione ambientalista Friends of the Earth. Nella relazione, intitolata Africa, up for grabs, si parla di un vero e proprio furto di terreni destinati alle coltivazioni alimentari, sottratti, spesso illecitamente, da produttori europei per piantare colture destinate alla produzione di biocarburanti.

La conseguenza principale di questa appropriazione indebita, attuata senza consultare adeguatamente le comunità locali, aggrava la già drammatica crisi negli approvvigionamenti di risorse alimentari nei Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati. Il risultato è la fame. Ma le aziende europee sotto accusa, imputate di affamare il Terzo Mondo, sottraendo terreno fertile alle colture alimentari, non ci stanno e si difendono affermando che i terreni destinati alla coltivazione di risorse primarie per i biocarburanti in realtà sono quelli non adatti alle colture alimentari.

Biocarburanti, agricoltori africani rischiano sfratto dalle loro terre

biocarburantiTorniamo ancora una volta sul tanto dibattuto argomento biocarburanti versus sviluppo sostenibile, che ha visto finora la disfatta del carburante biologico che penalizzerebbe le colture destinate ad uso alimentare, aggravando la Fame nei Paesi sottosviluppati ed aumentando il prezzo dei beni di prima necessità (in primis i prodotti farinacei) nel resto del mondo. Senza contare la massiccia deforestazione in atto per fare spazio alle colture destinate alla produzione di biocarburanti. Un nuovo allarme degli esperti arriva dall’Africa, dove gli agricoltori rischiano di essere costretti a lasciare le loro terre a causa delle pressione di investitori ricchi e potenti o ancora di progetti di governo nati sulla base della crescente domanda globale di biocarburanti, che favorisce ovviamente i cambiamenti nelle colture.

Una recente ricerca dell’Università di Edimburgo ha scoperto che i mezzi di sussistenza già scarsi della popolazione africana potrebbero essere messi ulteriormente a repentaglio qualora i terreni agricoli africani fossero destinati in misura sostanziale alle colture per i biocarburanti.

Gli africani si sentono i colpevoli del riscaldamento climatico

donna africana

Può sembrare assurdo, ma secondo una recente indagine, la maggior parte degli africani pensa che sia “colpa loro” se è in corso un cambiamento climatico, citando i danni che hanno fatto per l’ambiente nella loro patria. In realtà l’intera Africa è responsabile solo di circa il 4% delle emissioni globali di gas ad effetto serra, il che rende gli africani i meno responsabili del riscaldamento globale nel mondo.

Il BBC World Service la e il British Council hanno recentemente pubblicato la loro indagine, che si ritiene essere la più ampia mai condotta sul tema. Dalla relazione della BBC si legge:

Più di 1000 cittadini in 10 Paesi hanno preso parte alle discussioni per accertare ciò che gli africani realmente conoscono e capiscono sul clima. Il rapporto ha scoperto un senso quasi universale di ciò che la gente chiama “tempo” che sta cambiando e che incide sulla loro vita. Ma la maggior parte degli intervistati non ha collegato queste modifiche con le cause a livello mondiale come le emissioni di biossido di carbonio. Invece le persone tendono ad incolpare sé stesse o i loro vicini per il degrado ambientale e alcune vedono le modifiche come una forma di punizione divina.

La Banca Mondiale anticipa tutti e parte con il primo progetto verde in Africa e Medioriente

centrale solare

Mentre i grandi della Terra litigano sull’entità della cifra da stanziare per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare i cambiamenti climatici, la Banca Mondiale ha annunciato che 5,5 miliardi di dollari saranno investiti in progetti di energia solare concentrata in cinque paesi del Medio Oriente e Nord-Africa (Algeria, Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia), che ha un senso molto più che investire in progetti di energia solare nella nuvolosa Germania, o nei Paesi del Nord che di sole ne hanno ben poco.

Il  Clean Technology Fund della Banca Mondiale ha già stanziato 750 milioni di dollari, e questo finanziamento servirà per “mobilitare un ulteriore 4,85 miliardi di dollari provenienti da altre fonti”. In una dichiarazione alla stampa, il rappresentante della Banca mondiale ha spiegato:

La proposta della diffusione su scala dei gigawatt di 11 centrali elettriche di scala commerciale nell’arco di tre-cinque anni potrebbe fornire la massa critica di investimenti necessari per attrarre un significativo interesse del settore privato, far beneficiare le economie di scala per ridurre i costi, con il risultato dell’apprendimento in condizioni operative diverse, e gestione dei rischi.

L’Eni mira ad un progetto che distruggerà il Congo

Paolo-Scaroni-eni

Che cosa si ottiene quando si combinano la distruzione della foresta pluviale, sabbie bituminose, e piantagioni di palma da olio tutto in un progetto? Avete indovinato, un incubo ambientale. Questa tempesta perfetta di cattive perturbazioni climatiche può essere ritrovata nei piani della società petrolifera italiana Eni per lo sviluppo di catrame e di palma da olio nel bacino del Congo, uno dei luoghi più ricchi di biodiversità sulla Terra.

Questa sarebbe la prima esplorazione per sabbie di catrame in Africa in una delle piantagioni più grandi di olio di palma, che producono l’olio usato in migliaia di prodotti per la casa, dai detergenti alle Pringles. L’amministratore delegato della società, Paolo Scaroni, ha recentemente esortato le Nazioni Unite al Forum di New York ad intraprendere un’azione forte sul cambiamento climatico. Ma mentre i colloqui di Scaroni andavano avanti, la sua società stava investendo in alcuni dei progetti che contribuiranno a peggiorare il clima.