La bioplastica sostituirà il 90% della plastica proveniente dal petrolio

bicchieri in bioplastica

La bioplastica non è certo una panacea, ma se si vuole passare un giorno ad un mondo privo di combustibili fossili (per scelta o per necessità), avremo bisogno di qualcosa per sostituire la plastica. Dei ricercatori provenienti dall’Università di Utrecht hanno condotto uno studio che è stato commissionato loro dalle associazioni Bioplastics europea e la European Polysaccharide Network of Excellence (EPNOE), e le loro conclusioni sono state molto interessanti.

Nel loro studio, Martin K. Patel, Li Shen e Juliane Haufe dimostrano che fino al 90% del consumo globale corrente di polimeri provenienti da petrolio e gas può tecnicamente essere convertito da materie prime rinnovabili. Ma mentre questo è un numero abbastanza grande, questo è un limite teorico. Nel breve e medio termine, i numeri sono molto più bassi: sulla base dei recenti annunci la capacità di produzione di bio-plastica è previsto in aumento da 360.000 tonnellate nel 2007 a circa 2,3 milioni di tonnellate entro il 2013.

Nuova idea energetica: batteri mutanti uniti al poliestere per aumentare la produzione di biocarburante

ricercatrice

Preparare un certo tipo di biocarburante, con un batterio mutante e poliestere, potrebbe raddoppiare la produzione del combustibile. Ad affermarlo sono stati dei ricercatori americani che hanno reso nota la loro scoperta al National Meeting of the American Chemical Society di Washington, D.C., nei giorni scorsi.

Il biocarburante butanolo è un tipo di alcool che viene utilizzato principalmente come solvente, o in processi industriali che servono per creare altri prodotti chimici. Ma i ricercatori pensano che esso abbia un potenziale come biocarburante che un giorno potrà sostituire la benzina.

Biocarburanti dagli scarti delle angurie

angurie

Quest’estate potrebbe regalarci una nuova fonte di produzione energetica rinnovabile: l’anguria. Uno dei frutti più buoni e discussi da sempre, a causa dell’enorme spreco di quantità di acqua che serve per produrli, potrebbe presto restituire parte delle risorse utilizzate per la sua crescita.

Secondo i ricercatori del USDA-Agricultural Research Service presso il South Central Agricultural Research Laboratory di Lane in Oklahoma, guidati da Wayne Fish, gli scarti dei frutti consumati (le bucce) oppure i cocomeri invenduti, hanno le potenzialità per creare uno dei migliori biocarburanti al mondo.

Birra, buona da bere e…per dare energia

impianto produzione birra

Wolfgang Bengel, il direttore tecnico tedesco della società Biomasse Projekt BMP, vede un opportunità d’affari per risolvere il problema dei rifiuti di grano delle birrerie. Egli ha ipotizzato che i residui di grano potrebbero essere usati per creare vapore e biogas, i quali permetterebbero di produrre energia per le fabbriche di birra, ridurre i loro costi energetici, nonché abbassare anche i costi di trasporto del grano alle aziende agricole.

Bengel si è già occupato con successo dei resti di riso e zucchero di canna nelle caldaie nei sistemi di combustione a letto fluido atmosferico, per la produzione di energia in Cina e in Tailandia. Per questo Bengel pensa che un processo simile potrebbe essere sviluppato anche con la birra. Nel processo prima l’acqua viene rimossa dal grano bagnato, e poi questo, una volta asciutto, viene bruciato per produrre energia.

Biocarburante dalle alghe, la svolta dai nativi americani

alghe-biodiesel

Se fino a questo momento la produzione di biocarburante era molto rallentata dai problemi legati alla carenza di cibo e all’inspiegabile stop che c’è stato sulla ricerca di combustibili non provenienti da generi alimentari, tutto questo problema potrebbe essere a breve risolto da una delle poche comunità di nativi americani rimasti accampati nel Nuovo Mondo.

Si tratta degli Ute, una popolazione indiana che vive nel Sud del Colorado, seduta su un’immensa riserva di carbone e gas naturale. Ma che possiede anche tante alghe. Le loro credenze gli impedivano di utilizzare come carburanti dei generi alimentari, quindi mais, colza e tutte le altre colture da cui si ricava il biocarburante erano scartate a priori. Le alghe però non sfamano nessuno, ed anzi, assorbono CO2. E allora quale migliore attività dell’allevarle e creare carburante?

La nuova frontiera della biomassa: le microalghe

microalghe

La grande controversia sull’uso delle colture agricole come fonte di energia è ben nota fondamentalmente a causa della sua possibile “concorrenza” con le colture per uso alimentare. L’uso di fonti di natura organica per la produzione di biocarburanti, diverse da quelle utilizzate per le colture tradizionali, potrebbe essere la soluzione al dibattito sociale del settore.

E’ stato necessario rivolgersi a risorse alternative alle colture tradizionali, come la biomassa lignocellulosica e/o microrganismi, tra cui la novità è rappresentata dalle microalghe. In concreto, la produzione di massa da microalghe è in grado di soddisfare questa domanda, dato che non è in concorrenza con il settore alimentare, non hanno bisogno di grandi superfici, né di terreno fertile e massimizzano il risparmio di acqua per la loro produzione. Allo stesso tempo, esse contribuiscono alla valorizzazione ambientale con la cattura di CO2 e può essere integrata in una soluzione salina per lo smaltimento degli scarichi industriali.

Disastro di Cernobyl, il biodiesel potrebbe ripulire l’area colpita

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Le terre contaminate dal disastro nucleare di Chernobyl, potrebbero essere ripulite in un modo intelligente: con una piantagione per biocarburanti. La Bielorussia, il Paese più colpito dalla catastrofe, sta progettando di utilizzare le colture per “succhiare” i materiali radioattivi come cesio e stronzio per rendere il terreno adatto alla crescita di prodotti alimentari tra pochi decenni piuttosto che fra centinaia di anni come previsto inizialmente.

Un’area di 40.000 chilometri quadrati a sud-est della Bielorussia è così piena di isotopi radioattivi che non sarà considerata idonea per la coltivazione di cibo per alcuni secoli, finché gli isotopi non saranno sufficientemente scarichi. Ma questa settimana un team di tecnici irlandese che si occupano di biocarburanti si sono recati nella capitale, Minsk, sperando di fare un accordo con gli enti statali per la coltivazione di barbabietole da zucchero radioattive ed altre colture su terreni contaminati per la produzione di biocarburanti per la vendita in tutta Europa.

Il Canada sperimenta i biocarburanti di nuova generazione

etanolo

Finalmente i nuovi biocarburanti escono dal laboratorio e arrivano sulla strada. A sperimentarli nella vita quotidiana sarà la città di Ottawa, Canada, già alla fine di questo mese, dopo una breve sperimentazione durante l’ultima 24 ore di Le Mans del 13 giugno scorso.

Per “nuovi biocarburanti” si intende quella generazione di combustibili che provengono da vegetali non commestibili, e che dunque non vanno ad intaccare le colture di cibo che danneggiano le popolazioni povere. Inoltre fanno un duplice servizio, visto che coprono anche il bisogno di smaltire i rifiuti perché i materiali che lo comporranno saranno materiali di scarto.

Camelina: il fiore che sostituirà il petrolio

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I semi di alcune piante infestanti potrebbero tagliare le emissioni di carbonio degli aerei dell’84%. David Shonnard, professore alla Robbins Chair di Ingegneria Chimica, ha analizzato le emissioni di biossido di carbonio del combustibile per i jet prodotto dall’olio di camelina nel corso del suo ciclo di vita, dall’impianto allo smaltimento.

Il carburante per jet alla camelina presenta una delle maggiori riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra rispetto a qualsiasi materia prima agricola per biocarburanti che io abbia mai visto. Questo è il risultato di un unico raccolto, con poco fertilizzante, e ad alta resa di olio, disponibile sul mercato sottoforma di farina e biomassa, da destinare ad altri usi.

La Camelina sativa si trova in Europa ed è un membro della famiglia della senape, broccoli, cavoli e canola. Talvolta chiamata falso lino o “gold-of-pleasure”, vive in condizioni semi-aride in pianure del Nord. L’olio di camelina può essere convertito in idrocarburo verde per jet che soddisfa o supera tutte le specifiche del petrolio. Il carburante è un sostitutivo, dato che è compatibile con gli impianti già esistenti per il carburante classico. Secondo Shonnard è quasi identico ai combustibili fossili.

Acquista del pellet, ma al posto del legno c’è una sostanza radioattiva

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Uno dei tanti metodi per far bene all’ambiente è l’utilizzare dei combustibili poco inquinanti per il riscaldamento domestico. Uno dei metodi considerati più ecologici è il pellet, un materiale che proviene dalla lavorazione del materiale di scarto del legno il quale, anziché essere gettato, viene riutilizzato all’interno delle stufe e pare riscaldi circa il doppio del legno normale.

Pensava di fare del bene quindi un uomo di Aosta, il quale aveva acquistato un pacco di questi piccoli cilindri di segatura per la propria stufa. Ma nonostante avesse seguito tutte le istruzioni, non riusciva a capire come mai questo materiale non riscaldasse. Insospettito, l’uomo si è recato presso il gruppo Nucleare biologico chimico (Nbc) di Aosta per far analizzare il pellet, e i risultati sono stati piuttosto sorprendenti. Di legno ce n’era poco, ma in compenso c’era un’alta quantità di Cesio137, una sostanza radioattiva utilizzata nella bomba atomica.

Il biodiesel viene dal mare: le alghe produrranno benzina

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Fino ad oggi si lavorava quasi esclusivamente sulla soia e altri vegetali per produrre biodiesel. Eppure da molte parti del mondo scientifico sta prendendo sempre più piede l’idea che le migliori produttrici di biodiesel sono le alghe. Si tratta di alcune delle prime piante nate sulla Terra. Sono fotosintetiche, come le piante terrestri, ma a differenza loro sono molto meno complesse.

Poiché alcune specie di alghe sono ricche di olio, la quantità di olio che si può raccogliere da loro è centinaia di volte superiore alla quantità di olio che si può ricavare dai tradizionali vegetali come la soia. Le alghe possono crescere anche in luoghi lontani dai campi coltivati e boschi, tanto che oggi si trovano comunemente anche sulle spiagge più pulite di tutto il mondo, e così facendo si ridurrebbero al minimo i danni causati agli ecosistemi nella catena alimentare.

Biocarburanti: finalmente si punta sugli scarti

produzione-bioetanolo

Il maggior nemico dei biocarburanti negli ultimi non è stata nè la diffidenza, nè l’arretratezza di certe strutture. Ma semplicemente il principio che il cibo viene prima dell’energia. Molte critiche infatti sono state mosse ai produttori di biocarburanti, soprattutto in Brasile, che preferivano utilizzare ad esempio l’olio di colza, e non solo, il quale andava a diminuire il cibo per le popolazioni che abitavano vicino le piantagioni, e che, per fare spazio a questi enormi campi, portavano al disboscamento di centinaia di ettari di foreste, con tutte le conseguenze che conosciamo.

La soluzione, come spesso accade, era sotto gli occhi di tutti, ma finora nessuno (forse volontariamente) se ne era accorto: bastava affidarsi agli scarti. Se in linea teorica i biocarburanti erano l’alternativa migliore al petrolio (non inquinavano, erano prodotti naturali e riproducibili), in pratica erano molto dispendiosi. E allora la tecnologia ci ha permesso di produrli anche dagli scarti della lavorazione di cereali e legno, utilizzandone le parti non commestibili.

La centrale elettrica del cioccolato: una nuova “golosa” biomassa

Ricavare energia elettrica dal cioccolato. Sembrerebbe a prima vista uno spreco dell’oro nero dei golosi, ma in realtà non è proprio così, perchè la nuova biomassa messa a punto nel New Hampshire non utilizza certo i quadretti neri più amati nel mondo, bensì i sottoprodotti del cacao, gli scarti, i gusci dei semi di cacao, quelli che andrebbero comunque smaltiti e che ora si accumulano in montagne di rifiuti organici.

E nel New Hampshire la centrale elettrica più dolce del mondo è già operativa e produttiva. Insieme al consueto carbone, nelle caldaie dell’impianto energetico di Portsmouth, è già stato testato un nuovo mix di combustibili che ha come ingredienti principali proprio i gusci dei semi di cacao, residui organici del processo della produzione del cioccolato. Se pensiamo a quanti di questi rifiuti siano in circolazione e vengano prodotti nelle fabbriche del cioccolato con frequenza giornaliera, sarà facile pervenire alla conclusione che la materia prima per questo nuovo tipo di biomassa non verrebbe mai a mancare.

Anche la birra diventa biocarburante

Una società produttrice di birra di Chico, California, ha inventato un nuovo sistema di adeguamento della propria fabbrica, che renderà la sua bevanda un combustibile a base di etanolo di alta qualità. Tutto senza che gli appassionati di quella birra ne risentano. Il biocarburante verrà ricavato dallo scarto del lievito di birra.

La fabbrica in questione si chiama Sierra Nevada Brewing Co., la quale, in collaborazione con la E-Fuel Corporation, inizierà il sistema di test nel secondo trimestre di questo anno, con la speranze di passare alla produzione su più ampia scala di etanolo nel terzo trimestre.