Il biodiesel viene dal mare: le alghe produrranno benzina

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Fino ad oggi si lavorava quasi esclusivamente sulla soia e altri vegetali per produrre biodiesel. Eppure da molte parti del mondo scientifico sta prendendo sempre più piede l’idea che le migliori produttrici di biodiesel sono le alghe. Si tratta di alcune delle prime piante nate sulla Terra. Sono fotosintetiche, come le piante terrestri, ma a differenza loro sono molto meno complesse.

Poiché alcune specie di alghe sono ricche di olio, la quantità di olio che si può raccogliere da loro è centinaia di volte superiore alla quantità di olio che si può ricavare dai tradizionali vegetali come la soia. Le alghe possono crescere anche in luoghi lontani dai campi coltivati e boschi, tanto che oggi si trovano comunemente anche sulle spiagge più pulite di tutto il mondo, e così facendo si ridurrebbero al minimo i danni causati agli ecosistemi nella catena alimentare.

Biocarburanti vs. bioelettricità, quale dei due è più efficiente?

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L’impronta sull’acqua della bioenergia, cioè la quantità di acqua necessaria per coltivare le colture per la biomassa, è di gran lunga maggiore rispetto alle altre forme di energia. La generazione di bioelettricità è molto più efficiente, in termini di consumo di acqua, rispetto alla produzione di biocarburanti. Stabilendo l’utilizzo dell’acqua su tredici colture, i ricercatori dell’Università di Twente, Olanda, sono stati in grado di scegliere quale coltura fosse migliore in una determinata regione e quale no. Il loro lavoro è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Nel loro articolo, i ricercatori mostrano l’utilizzo dell’acqua in tredici colture, considerando il volume d’acqua (piovana e di irrigazione) richiesto per la produzione di energia. Per quanto riguarda le varie applicazioni della biomassa, i ricercatori hanno tenuto presente l’impatto che la coltivazione delle colture ha sul consumo di acqua. Lo hanno poi collegato alla posizione e al clima per vedere se è possibile selezionare la regione di produzione ottimale per ogni raccolto. Questo serve per impedire la coltivazione di biomassa dove potrebbe compromettere la produzione alimentare nelle regioni dove l’acqua è già scarsa.

Grasshol, il biocarburante che proviene dall’erba

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Riconosciuta ormai in tutto il mondo la pericolosità di affidare ai biocarburanti attuali il futuro del trasporto su automobili, in molte parti del mondo si stanno cercando metodi per evitare che queste colture influiscano fortemente su quelle che producono cibo.

Fino ad ora accadeva infatti che le colture di mais, ma non solo, finivano con l’abbandonare l’industria alimentare per confluire in quella della produzione di bioetanolo, molto più remunerativa. Questo ovviamente incideva sulla salute di migliaia di persone che da un giorno all’altro si ritrovavano senza cibo. Ma i metodi per aggirare l’ostacolo ce ne sono tanti, ed uno arriva dal Galles. Si chiamerà Grasshol, e sarà un biocarburante che proviene dall’erba, nulla di commestibile quindi.

Ecco cosa accade se non preserviamo le foreste dalla riconversione a colture per biocarburanti

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Tutte le più recenti scoperte sulle emissioni prodotte dai cambiamenti nell’uso del territorio devono essere prese in considerazione per determinare se i biocarburanti siano veramente utili come emissioni di carbonio e come fonti di combustibile. Una nuova ricerca svolta presso il Global Change Research Institute mostra che l’inserimento delle emissioni di carbonio dovute alla deforestazione abbassa l’effetto della mitigazione dei cambiamenti climatici. In breve se non cominciamo a gestire le nostre foreste, tutto potrebbero sparire entro il 2100 per fare posto alle colture di biocarburante.

I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver utilizzato un computer che progetta un modello economico che prende in considerazione l’energia, l’agricoltura, i cambiamenti nell’uso del suolo, le emissioni e le concentrazioni di gas ad effetto serra per capire meglio come le decisioni umane e i processi naturali interagiscano tra loro nel controllo del clima.

L’etanolo adesso si potrà fare anche dall’anguria

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Con il loro dolce succo di frutta fresca, le angurie sono uno dei frutti preferiti della stagione estiva. Ma ora questa palla di bontà potrà avere una funzione ulteriore al semplice dissetare i bagnanti accaldati in spieggia. L’Agricultural Research Service (ARS) studi di Lane, Oklahoma, hanno dimostrato che gli zuccheri semplici del succo di anguria possono essere trasformati in etanolo.

Nel 2007, i coltivatori hanno raccolto quattro miliardi di sterline di anguria dai mercati. Ora quei meloni potrebbero ottenere una “nuova vita”, come etanolo. Normalmente, questo biocarburante è prodotto da colture di canna  come mais, sorgo e canna da zucchero, per offrire una combustione alternativa più pulita della benzina. Il cocomero potrebbe spingere a diversificare il “portafoglio” di coltivazioni di biocarburanti che possono diminuire la dipendenza da petrolio, senza incidere soltanto su un tipo di coltura, con le conseguenze sull’alimentazione mondiale che conosciamo.

Biocarburanti: finalmente si punta sugli scarti

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Il maggior nemico dei biocarburanti negli ultimi non è stata nè la diffidenza, nè l’arretratezza di certe strutture. Ma semplicemente il principio che il cibo viene prima dell’energia. Molte critiche infatti sono state mosse ai produttori di biocarburanti, soprattutto in Brasile, che preferivano utilizzare ad esempio l’olio di colza, e non solo, il quale andava a diminuire il cibo per le popolazioni che abitavano vicino le piantagioni, e che, per fare spazio a questi enormi campi, portavano al disboscamento di centinaia di ettari di foreste, con tutte le conseguenze che conosciamo.

La soluzione, come spesso accade, era sotto gli occhi di tutti, ma finora nessuno (forse volontariamente) se ne era accorto: bastava affidarsi agli scarti. Se in linea teorica i biocarburanti erano l’alternativa migliore al petrolio (non inquinavano, erano prodotti naturali e riproducibili), in pratica erano molto dispendiosi. E allora la tecnologia ci ha permesso di produrli anche dagli scarti della lavorazione di cereali e legno, utilizzandone le parti non commestibili.

Bioelettricità, l’energia del futuro

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Secondo una ricerca appena pubblicata nell’edizione on-line di Science, piuttosto che la conversione delle colture energetiche a carburante liquido per utilizzarle in un motore a combustione interna, è molto più efficace convertirle in energia elettrica per alimentare i veicoli. Rispetto all’etanolo, questo tipo di energia fornisce l’80% di chilometraggio in più per ettaro di coltura, ed al contempo raddoppia anche  il risparmio nelle emissioni.

Alcuni ricercatori delle Università della California di Merced e Stanford, hanno realizzato un programma sulla sicurezza alimentare e l’ambiente e hanno effettuato un analisi del ciclo di vita del bio-etanolo e dell’elettricità che riguardava sia l’energia prodotta da ciascuna tecnologia, ma anche l’energia consumata nella produzione dei combustibili e dei veicoli da loro alimentati.

Ue e politica dei biocarburanti, meglio incentivarli o eliminarli?

Le stime attuali affermano che i trasporti sono responsabili di circa il 25% delle emissioni di gas serra connesse all’energia a livello mondiale. Mentre i biocarburanti sono considerati come un possibile strumento per ridurre tali emissioni, sono in discussione i termini di costi-benefici economici dei loro impatti ambientali e sociali.

L’UE promuove la produzione di biocarburanti e ha fissato un obiettivo del 5,75% di biocarburanti nel settore dei trasporti per tutti gli Stati membri dell’Unione entro il 2010, più un obiettivo del 10%, da raggiungere entro il 2020. Attualmente, il biocarburante consiste principalmente in colture seminative, come i cereali, il mais o la colza. L’aumento della quota di tali colture potrebbe condurre allo sviluppo di aree coltivate e, a loro volta, ad una pressione crescente per l’ambiente, la perdita di habitat e la diminuzione della biodiversità, in particolare di boschi, prati, zone umide e torbiere, che vengono convertite in piantagioni di monocolture di biocarburanti.

Dubbi sul bioetanolo, forse è più pericoloso del petrolio

La produzione di bioetanolo può utilizzare fino a tre volte in più l’acqua di quanto precedentemente si potesse pensare. A lanciare l’allarme è un nuovo studio che ha constatato che, se questi dati fossero confermati, potrebbe scoppiare la “bolla dei biocarburanti“.

Secondo lo studio pubblicato nel dettaglio il 15 aprile scorso sulla rivista Environmental Science & Technology, un gallone (quasi 4 litri) di etanolo può richiedere fino a più di 2100 galloni (8000 litri) di acqua dalla fattoria alla pompa della benzina, a seconda della prassi d’irrigazione nella coltivazione del mais. Ma l’uso dell’acqua non è così elevato in tutto il mondo: una dozzina di Stati del Corn Belt consumano meno di 100 galloni di acqua per ogni gallone di etanolo, il che li rende più adatti per la produzione di etanolo. Secondo gli autori:

I risultati evidenziano la necessità di prendere in considerazione specificità regionali in sede di attuazione dei mandati per i biocarburanti.

Il bioetanolo di solito è fatto da fonti vegetali come il granoturco o l’erba, è spesso trattato come una combustione pulita alternativa alla benzina o ad altri combustibili fossili, che rilasciano notevoli quantità di anidride carbonica e altri inquinanti.

Perché non sono convenienti i biocarburanti

Un nuovo studio ha rilevato che ci vorranno più di 75 anni per recuperare le emissioni di carbonio attraverso l’uso dei biocarburanti per compensare le emissioni che si avranno quando le piantagioni per i biocarburanti avranno preso il posto delle foreste. Ma se l’habitat ideale sono le torbiere, il bilancio del carbonio dovrebbe aver bisogno di più di 600 anni.

L’olio di palma, sempre più utilizzato come fonte per i biocarburanti, ha sostituito la soia in tutto il mondo. La produzione mondiale dell’olio di palma è aumentata esponenzialmente negli ultimi 40 anni. Nel 2006, l’85% della produzione mondiale di olio di palma è stata prodotta in Indonesia e Malesia, i Paesi la cui perdita di foresta tropicale è di circa 20.000 chilometri quadrati all’anno.

Fornire biocarburante dal sole? Adesso si può

Gli alberi utilizzano la luce del sole per assorbire l’anidride carbonica, e l’acqua come un combustibile. Si tratta di una strategia elegantemente semplice, che utilizza fonti di energia rinnovabili per milioni di anni. Perché non fare la stessa cosa, e creare combustibile dal sole? Gli scienziati stanno rapidamente sviluppando la capacità di lavorare sulla stessa linea della natura, o almeno ci provano.

Una nuova ricerca mette in evidenza le opportunità e le potenzialità di questo entusiasmante passo. La vita è costruita su scala nanometrica, dal più piccolo virus alla più grande sequoia. La nostra capacità di valutazione tra pari in questo mondo si è rapidamente sviluppata nei passati cinquant’anni, eppure la nostra capacità di manipolare la materia su scala è appena cominciata ad emergere. Il potenziale per le nanotecnologie, come quelle in corso di elaborazione dello scienziato Craig Grimes e dei suoi colleghi della Pennsylvania State University, mostrano alcune dei più brillanti possibilità.

Anche la birra diventa biocarburante

Una società produttrice di birra di Chico, California, ha inventato un nuovo sistema di adeguamento della propria fabbrica, che renderà la sua bevanda un combustibile a base di etanolo di alta qualità. Tutto senza che gli appassionati di quella birra ne risentano. Il biocarburante verrà ricavato dallo scarto del lievito di birra.

La fabbrica in questione si chiama Sierra Nevada Brewing Co., la quale, in collaborazione con la E-Fuel Corporation, inizierà il sistema di test nel secondo trimestre di questo anno, con la speranze di passare alla produzione su più ampia scala di etanolo nel terzo trimestre.

Anche per i razzi il futuro è il biocarburante

Nel dibattito sull’efficienza dei biocarburante si inserisce prepotentemente l’aeronautica la quale, dopo aver testato sui primi aerei miliardi di litri di biodiesel con risultati soddisfacenti, adesso li prova anche su qualcosa di ancora più delicato: i razzi. Risultato? Ovviamente ottimo.

In un test di lancio effettuato all’inizio di questo mese in California, la Flometrics, l’azienda che ha voluto sperimentare l’idea, ha annunciato che il biocarburante prodotto commercialmente possiede quasi la stessa quantità di spinta del combustibile convenzionale usato nel lancio dei razzi. Dopotutto se funzionava perfettamente sugli aerei, quella sui rockets poteva essere soltanto la prova del nove, superata alla grande.

Il futuro dei biocarburanti sono i microbi

I microbi potrebbero essere la risposta alla crisi energetica globale. Attraverso la fermentazione della biomassa per la produzione di biocarburanti, questi offrono una possibile soluzione rispettosa del clima per la prevista carenza di approvvigionamento di combustibili fossili. Una revisione del professor Arnold Demain della Drew University del New Jersey, su come i microbi potrebbero essere utilizzati per “guarire” dalla crisi energetica è stata appena pubblicata online sullo Springer’s Journal, rivista scientifica che si occupa di Microbiologia e Biotecnologie Industriali.

Secondo il professor Demain, l’economia basata sul petrolio degli Stati Uniti si sta avvicinando alla fine del suo ciclo di vita. Le riserve di petrolio a livello mondiale e le nuove (piccole) scoperte di petrolio nuovo non saranno sufficienti a soddisfare la domanda annua di tutto il mondo, specialmente ora che molti grandi potenze ne stanno richiedendo sempre di più. È pertanto essenziale, per anticipare ed evitare le carenze di approvvigionamento in futuro, fornire l’accesso alle nuove bioenergie alternative per il mercato.