L’epidemia di influenza in inverno è un fenomeno normale a cui siamo abituati. Ma negli ultimi anni è peggiorata, e nei prossimi si prevede debba andare sempre peggio. I motivi possono essere diversi, e tra di essi oggi se ne inserisce anche uno nuovo: i cambiamenti climatici. A sostenerlo è un gruppo di ricercatori dell’Arizona State University di Tempe che ha analizzato i dati dal 1997 ad oggi.
Il motivo per cui accade questo fenomeno è legato al fatto che gli inverni sono mediamente più caldi, nonostante poi facciano registrare improvvisi picchi di gelo. L’esempio più lampante è quello dello scorso anno che ha fatto registrare uno degli inverni più caldi della storia ed anche una delle stagioni influenzali peggiori, con il numero di casi segnalati più elevato ed un ceppo più virulento, quello del virus H3N2 che si è presentato anche prima del previsto.
Secondo Sherry Towers, a capo del progetto, più alte sono le temperature invernali e prima si diffonde il virus dell’influenza, il quale si rafforza ancora di più. Quest’ultimo fenomeno in particolare rappresenta una novità nell’affrontare la questione. Solitamente ogni anno il virus che si presenta fa sviluppare gli anticorpi alla popolazione. L’anno successivo il virus è più forte rispetto a quello passato, ma le persone hanno sviluppato delle difese che possono contrastarlo. È bastato così un inverno in cui la trasmissione è stata inferiore per non far sviluppare l’immunità alla popolazione la quale poi non ha risposto a dovere l’anno successivo, subendo dei contraccolpi maggiori derivati da un virus più virulento.
A peggiorare la situazione ci si mettono anche due fattori: con un inverno più caldo meno gente è portata a vaccinarsi, lasciando così questa pratica solo agli anziani ed ai bambini, ed inoltre anche quelli che si vogliono vaccinare lo fanno mediamente troppo tardi. Le campagne di vaccinazione arrivano ogni anno sempre nello stesso periodo, ma con l’umidità e la temperatura più elevate i virus cominciano a circolare prima, rendendo ormai inutile il vaccino stesso. Secondo la dottoressa Towers la soluzione sarebbe una campagna di vaccinazione che riguardi una fetta di popolazione più vasta possibile, e che cominci prima rispetto al solito.
[Fonte: Livescience]
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