In Italia ha avuto inizio la sperimentazione dell’olio di cardo nella generazione di energia tramite biomasse: responsabile del progetto è il Centro Nazionale di Ricerca sulle Biomasse dell’Università dell’Ambiente di Perugia. Lo ha annunciato al convegno Ambiente e Bioenergie tenutosi alla camera dei deputati il professor Franco Cotana. La sperimentazione si presenta particolarmente interessante in quanto i cardi sono una specie vegetale tipica dei terreni ai margini delle colture.
Il professor Franco Cotana ha sottolineato come la sperimentazione odierna sia stata preparata con cura nel corso degli anni:
Da sei anni nei campi sperimentali del Centro Ricerca Biomasse vengono coltivati cardi per produzione combinata di olio vegetale e biomassa ligno cellulosa. Le produzioni mostrano una produttività media per ettaro pari a circa 450 litri di olio ad ettaro e circa 12,5 tonnellate di paglia ligno cellulosica. Risultati molto interessanti per le applicazioni e per l’uso dei terreni marginali senza andare in competizione con l’agricoltura tradizionale.
Il direttore del CRB ha poi insistito sulle possibilità insite nella produzione di agroenergia dall’olio estratto dai cardi spiegando che
non solo non va a impattare sull’agricoltura destinata all’alimentazione ma anzi va a recuperare aree abbandonate, stimabili in un milione di ettari in Italia. Il ricavo atteso oscilla tra i 1.400 e i 1.600 euro per ettaro, superiore alla attuale resa del grano che mediamente si attesta sui 700 euro per ettaro. Inoltre il sottoprodotto dei bioliquidi da cardo, la lignina, può essere sostitutivo del carbone, e contribuire anche esso al fabbisogno energetico da biomasse.
Ecco quindi chiaramente spiegato perché questo tipo di sperimentazione potrebbe risultare particolarmente interessante: elude parte delle problematiche legate alle biomasse, in particolar modo l’impatto sull’agricoltura e consequenzialmente sull’ambiente derivante da coltivazioni su larga scala di prodotti specificamente indirizzati alla produzione energetica.
Lavorare quindi sull’ottimizzazione del patrimonio di biomasse già presenti sul territorio e al momento lontane dall’essere pienamente sfruttate, anziché investire nella coltivazione su larga scala di colture non alimentari.
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