Quest’estate potrebbe regalarci una nuova fonte di produzione energetica rinnovabile: l’anguria. Uno dei frutti più buoni e discussi da sempre, a causa dell’enorme spreco di quantità di acqua che serve per produrli, potrebbe presto restituire parte delle risorse utilizzate per la sua crescita.
Secondo i ricercatori del USDA-Agricultural Research Service presso il South Central Agricultural Research Laboratory di Lane in Oklahoma, guidati da Wayne Fish, gli scarti dei frutti consumati (le bucce) oppure i cocomeri invenduti, hanno le potenzialità per creare uno dei migliori biocarburanti al mondo.
In particolare, questa ottima proprietà la si deve al succo molto zuccherino dell’anguria, uno dei più dolci in natura, il quale potrebbe favorire il processo di fermentazione, che a volte dev’essere indotto dall’uomo se si utilizza un altra fonte energetica, creando naturalmente dell’etanolo. Secondo le stime dei ricercatori americani, da ogni grammo di zucchero dell’anguria si possono ricavare 0,4 grammi di etanolo, il che significa che ogni ettaro di angurie può produrre circa 220 litri di carburante. Molto alta come produzione se contiamo che questa può avvenire semplicemente utilizzando gli scarti.
La produzione però potrebbe migliorare ulteriormente se calcoliamo gli invenduti. Pare infatti che ogni anno circa il 20% delle angurie prodotte non finisce nemmeno sui banchi del fruttivendolo, in quanto non appetibili “esteticamente”, nel caso in cui compaiano delle macchie, imperfezioni sulla buccia, buchi o ammaccature. Tutti aspetti che non farebbero mai vendere il pezzo, e quindi non vengono nemmeno acquistati dai grossisti. Se a questi ci aggiungiamo anche le migliaia di cocomeri che non vengono acquistati, e che a settembre vanno al macero, ci rendiamo conto che le potenzialità di questo campo sono enormi. A fine estate infatti questo “prodotto da ombrellone” finisce nel dimenticatoio, e così tonnellate di angurie potrebbero essere utilizzate per scopi ancora migliori di quello per cui sono nate.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Biotechnology for Biofuels.
Fonte: [Ansa]
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