Appena un mese dopo che i leader del mondo hanno raggiunto un accordo provvisorio e non vincolante in occasione del vertice di Copenaghen, tale accordo sembra già a rischio di fallimento, ha spiegato il principale funzionario delle Nazioni Unite, Yvo de Boer. Di fronte ad una scadenza fissata al 31 gennaio, i principali Paesi non hanno ancora presentato i loro piani per la riduzione delle emissioni di gas serra, una delle principali disposizioni della convenzione, secondo il segretario esecutivo delle Nazioni Unite nella Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, che ha organizzato l’incontro.
Sono circa 20 (su 190) i Paesi hanno anche presentato le lettere dicendo di accettare i termini dell’accordo. E non c’è stato praticamente alcun progresso in merito, che illustra le condizioni di pagamento dei quasi 30 miliardi di dollari per il Fondo promesso a quei Paesi che dovrebbero essere più colpiti dal cambiamento climatico. Le questioni ancora irrisolte sono quanto ogni singolo Paese dovrà donare, dove i soldi andranno e chi supervisionerà il fondo.
Ma il vero punto della questione è che quasi nessun Paese accetta che ci siano limiti e scadenze per la riduzione delle proprie emissioni. Nella sua prima conferenza stampa, de Boer spiegò che era rimasta la speranza che il quasi fallimento di Copenaghen avrebbe prodotto risultati significativi con il proseguio delle trattative. Dopo un mese durante il quale i partecipanti hanno espresso delusione per i risultati e attribuito la colpa l’uno con l’altro, lo stesso de Boer ha descritto prossime settimane come un
periodo di riflessione che dà tempo ai Paesi per lavorare tra di loro.
La prossima settimana, per esempio, i grandi Paesi in via di sviluppo che hanno contribuito all’accordo (Cina, India, Brasile e Sud Africa) si riuniranno a Nuova Delhi per rivedere l’accordo di Copenaghen e il piano per la prossima fase dei colloqui. Nessuno di loro ha ancora deciso i piani per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Senza un impegno su tali piani, un risultato importante difficilmente sarà raggiunto.
De Boer ha detto di aspettarsi che un certo numero di Paesi in via di sviluppo mancheranno il termine del 31 gennaio, ma questo non dovrebbe bloccare il processo pianificato. La situazione in questo momento vede impegnata solo l’Europa, anche se non con una voce unica, ed il Giappone, con gli Stati Uniti che stanno a guardare e i Paesi poveri con un grande punto interrogativo sui programmi futuri.
Todd Stern, il capo negoziatore americano sul clima, ha detto che gli Stati Uniti non andranno oltre la riduzione del 17% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020. Anche lui ha detto che è “estremamente importante” per tutti gli altri emettitori importanti di presentare i loro impegni, ma certo è che quello preso dagli States equivale quasi a zero.
Le nazioni del mondo, ha concluso de Boer, contano su Obama per mantenere la promessa sulla riduzione delle emissioni, ma visti i problemi che il Presidente americano ha nel suo Paese, le speranze che un accordo migliore sul clima venga trovato diventano sempre di meno.
Fonte: [New York Times]