Un nuovo studio evidenzia gli effetti negativi dell'azione umana sulla aree selvatiche. In 20 anni perso un decimo della loro estensione. Amazzonia ed Africa le zone più compromesse.
Quando pensiamo alla natura, spesso siamo portati ad immaginare territori inesplorati e selvaggi in cui la presenza umana si limita a semplice osservatore dell’ambiente. D’altro canto però è ben chiaro da molti anni che le aree selvatiche sul pianeta sono costantemente sotto pressione per il valore economico che possono generare o anche come semplice spazio di compensazione per la crescita della popolazione mondiale. Storicamente però è piuttosto complesso poter dare una dimensione a questi fenomeni sia per la loro implicita complessità sia per mancanza di dati omogenei e confrontabili. Un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori e pubblicato su Current Biology affronta proprio questi temi con risultati preoccupanti.
Scomparso il un decimo delle aree selvatiche
Il nuovo lavoro che rilancia il dibattito sulla conservazione delle aree selvatiche è stato guidato da James Watson a capo di un team internazionale di ricercatori. Lo studio intitolato eloquentemente “Catastrophic Declines in Wilderness Areas Undermine Global Environment Targets” ha portato alla mappatura aggiornata delle aree selvatiche su tutto il pianeta. I ricercatori hanno adottato una serie di convenzioni tipiche di questo genere di studi; in particolare la definizione di aree selvatiche assunta nella ricerca non esclude completamente la presenza umana ma la prevede solo quando questa non si traduce in significative perturbazioni all’ambiente naturale.
In questo modo vaste regioni in cui vivono popolazioni indigene sono state conteggiate nella mappatura. Sempre convenzionalmente sono state escluse dallo studio l’Antartide e alcune regioni ricoperte da rocce, ghiacci e laghi.
Sulla base di queste premesse la nuova mappatura delle aree selvatiche è stata confrontata con lavori simili risalenti agli anni ’90 con lo scopo di comprendere la dinamica di questi territori negli ultimi 20 anni. I risultati come anticipato sono tali da suscitare più di una preoccupazione.
Secondo i calcoli dei ricercatori l’estensione delle aree selvatiche sul pianeta è pari a circa 30,1 milioni di kmq. La maggior parte di questi territori si trova nel Nord America, nelle regioni settentrionali dell’Asia, nel Nord Africa ed in Australia. Da questa distribuzione geografica si può osservare che gran parte delle aree naturali incontaminate si concentrano in zone desertiche o in prossimità della zone polari; in territori cioè che naturalmente sono ostili alla presenza umana e quindi poco attraenti per le attività antropiche.
Dal confronto con i dati degli anni ’90 emerge inoltre che l’estensione delle aree selvatiche sul pianeta si è ridotta di quasi il 10% in circa 20 anni (9,6% per essere precisi). È stato stimato in particolare che in questo arco temporale sono scomparsi 3,3 milioni di kmq di territori incontaminati.
Amazzonia e Nord Africa le regioni critiche
La riduzione dell’estensione della aree selvatiche negli ultimi 20 anni non è stata ovviamente uniforme ma si è concentrata soprattutto in alcune regioni. I ricercatori hanno in particolare preso come riferimento le aree selvatiche continue con estensione superiore ai 10 mila kmq, un parametro utilizzato anche dalla International Union for the Conservation of Nature. In questa scala i dati dimostrano che degli originali 350 grandi territori incontaminati individuati negli anni ’90, ben 37 sono stati ridimensionati fino a scendere sotto la soglia dei 10 mila kmq. Più in generale il 74% di questi territori ha registrato una riduzione della sua estensione superficiale.
Vasti territori incontaminati sono scomparsi nelle regioni settentrionali e centrali dell’Africa, in Asia ed in Nuova Guinea. Anche il Sud America ha visto una notevole riduzione delle sua aree selvatiche soprattutto come effetto delle perdite nella foresta amazzonica. Secondo i ricercatori in Amazzonia l’estensione del maggiore blocco ‘wilderness’ è scesa da 1,8 a 1,3 milioni di kmq con una riduzione della superficie di oltre il 30%.
Effetti sul clima
Una parte dello studio scientifico è dedicato esplicitamente ala aree protette come strumento si conservazione dei territori naturali incontaminati. È stato calcolato in particolare in questi anni 2,5 milioni di kmq di territorio selvatico sono stati sottoposti a tutela, una dimensione tuttavia inferiore alla superficie persa nello steso periodo. A più riprese lo studio evidenzia la necessità di una nuova politica di ‘conservazione’ che comprenda aree protette di grandi estensioni anche su scala internazionale.
La riduzione dell’estensione delle aree selvatiche non è solo un problema naturalistico ma ha conseguenza potenzialmente molto rilevanti anche sul clima e sulla gestione del riscaldamento globale. I ricercatori spiegano che una parte consistente del carbonio presente sulla Terra è immagazzinato nella biomasse vegetali ed in particolare nelle grandi foreste nordiche e nelle foreste tropicali. In questo senso le grandi aree verdi del pianeta svolgono una funzione stabilizzatrice della concentrazione della CO2 in atmosfera contribuendo alla riduzione dell’effetto serra.
Tutelare quindi le grandi aree selvatiche del pianeta equivale in questo senso ad applicazione una azione mitigatrice sul riscaldamento globale sui conseguenti cambiamenti climatici. In altri termini la protezione delle grandi foreste potrebbe essere una passo indispensabile per rendere concreti gli obiettivi internazionali di contrasto al cambiamento climatico ribaditi anche alla COP21 di Parigi.
Un patrimonio irrecuperabili
Le aree selvatiche sulla terra costituiscono un’eccezionale patrimonio di biodiversità non riproducibile. La scomparsa di grandi territori incontaminati ad opera dell’uomo è quasi sempre un processo irreversibile e che proprio per questo andrebbe gestito con la massima lungimiranza.
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