Il referendum sulle trivelle del 17 aprile e le vicende politiche e giudiziarie sul petrolio in Basilicata viaggiano su binari separati ma contribuiscono a portare al centro dell'attenzione la politica energetica del Paese.
La politica italiana è spesso accentrata su questioni formali, procedurali se non addirittura personali. Uno spettacolo non certo esaltante che riduce il dibattito ad uno scontro tra tifoserie avverse e ad indignazioni incrociate. Il referendum sulle trivelle in programma ormai tra pochi giorni e le vicende politiche e giudiziarie nate attorno al giacimento di Tempa Rossa hanno avuto se non altro il merito di riportare l’attenzione sul tema della politica energetica italiana, questione solitamente ben poco presente nel dibattito politico ma centrale nella vita di tutti i cittadini.
Referendum sulle trivelle, su cosa si vota
Domenica 17 aprile più di 51 milioni di cittadini italiani saranno chiamati a votare quello che è ormai noto come “referendum sulle trivelle“. Questa forma semplificata per esigenze di comunicazione potrebbe però essere forviante dal momento che gli elettori saranno chiamati ad esprimersi su un sotto-insieme molto preciso delle attività di ricerca e sfruttamento di giacimenti di gas e idrocarburi in Italia; il referendum infatti riguarda solo la fascia costiera entro le 12 miglia marine ed interviene esclusivamente sulla durata delle concessioni.
Stabilito infatti che in questa fascia non sono più ammesse nuove attività di estrazione, con il referendum sulle trivelle in mare gli italiani dovranno decidere il destino temporale degli impianti di estrazione esistenti. Nella Legge di Stabilità (legge n.208 del 2015) è stato infatti inserito un comma che consente di prolungare le concessioni esistenti entro le 12 miglia fino all’esaurimento del giacimento anziché fino alla scadenza della concessione in essere. Con il quesito referendario si chiede proprio l’abolizione di questa parte della legge.
Il quesito del referendum sulle trivelle
Il referendum del 17 aprile è stato indetto con il Decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 2016 che contiene anche il testo che sarà posto sulla scheda referendaria:
«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
Cerchiamo quindi di capire meglio cosa accadrà in caso di vittoria del SI (abrogazione) o di vittoria del NO (mantenimento del testo attuale).
- Se vince il SI: Le concessioni esistenti all’interno della fascia delle 12 miglia resteranno comunque valide fino alla scadenza. Molte concessioni andranno in scadenza già nei prossimi anni mentre quelle più recenti scadranno in tempi più lunghi stimati anche in una ventina di anni.
- Se vince il NO: Le concessioni esistenti nella fascia delle 12 miglia potranno essere prolungate fino all’esaurimento dei giacimenti; la proroga non sarà comunque automatica e dovranno essere sempre rispettate le normative in tema ambientale. Anche in caso di affermazione del NO, nulla cambierebbe in tema di nuove trivellazioni comunque vietate per legge nella fascia costiera entro le 12 miglia marine.
Le ragioni del SI e le ragioni del NO
Per il si al referendum sulle trivelle sono schierate molte forze politiche e soprattutto le principali associazioni ambientaliste. Abbiamo già visto alcuni giorni fa la mappe ed i dati diffusi da Legambiente, ma anche Greenpeace ad esempio ha preparato un quadro riassuntivo in 6 punti che elenca le ragioni di chiede l’abrogazione della norma. Greenpeace osserva in particolare che le trivellazioni in mare sono una fonte di pericolo per l’ecosistema e che in caso di incidente le conseguenza potrebbero essere disastrose. Il referendum del 17 aprile è visto inoltre come una occasione per accelerare il distacco dell’economia italiana dagli idrocarburi e per valorizzare le bellezze naturalistiche, storiche e culturali del Paese.
Articolate sono anche la ragioni di chi si è schierato a favore del no al referendum introducendo nel dibattito considerazioni sia di natura economica che ambientale. Si osserva ad esempio che rinunciare ad una parte della produzione nazionale di petrolio e gas significherà aumentare almeno nel breve periodo le importazioni dall’estero e con esse il maggior tasso di inquinamento dovuto ad esempio al transito delle petroliere. Negativo sarebbe anche l’impatto sull’occupazione sia diretta per gli impianti con concessione in scadenza sia soprattutto nell’indotto del settore. Molte riflessioni ed argomentazioni del fronte del NO sono raccolte dal comitato Ottimisti e razionali.
Il caso Tempa Rossa
Sul tema dell’estrazione di gas ed idrocarburi in Italia l’ultima settimana ha visto l’esplosione del caso Tempa Rossa, giacimento sito in Basilicata al centro di indagini della Procura di Potenza. La complessa vicenda, ben sintetizzata ad esempio da Il Post, ha portato alle dimissioni del Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi ed a un intervento diretto del Presidente del Consiglio Renzi nella sua eNews.
Le indagini sul petrolio a Tempa Rossa ed il referendum sulle trivelle non presentano legami diretti dato che si riferiscono a due contesti normativi sostanzialmente diversi. Eppure sono in molti a pensare che le vicende lucane siano destinate ad aumentare l’attenzione sul referendum del 17 aprile estendendone la portata anche oltre il contenuto stesso del quesito. Un aumento dell’attenzione al tema energetico che potrebbe favorire l’affluenza alle urne, elemento che a due settimane dal voto resta una delle grandi incognite irrisolte.
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