Il greenwashing è un termine ormai entrato da tempo nel dizionario italiano, ma resta sconosciuto a molti. Vediamo cos’è il greenwashing, come le aziende lo mettono in pratica e alcuni tra i casi più famosi, italiani e non.
La paternità del termine greenwashing viene attribuita comunemente a Jay Westerweld, che lo utilizzò nel 1986 per descrivere la doppia faccia della politica green adottata da alcune catene alberghiere. Cos’è il greenwashing? Il termine letteralmente indica il “lavarsi col verde”,ma ha una connotazione negativa: designa infatti (principalmente) realtà aziendali e industriali che si attribuiscono valori ecologisti in maniera impropria o anche truffaldina. Se una grande azienda produttrice di generi di consumo d’un tratto lancia una campagna pubblicitaria attribuendosi un’attenzione ecologica (magari tingendo anche il logo di verde) che in realtà non esiste, sta compiendo un’operazione di greenwashing, ovvero sta cercando di attirare pubblico eco-friendly pur non essendo davvero una realtà attenta all’ambiente.
Il greenwashing funziona quindi sulla base delle potenzialità di mercato o di profitto di vario tipo (diretto e indiretto) che nascono dall’attrarre a sé in maniera in debita un pubblico di clienti ecoresponsabili.
Con gli anni i casi di greenwashing sono sempre più numerosi. Famoso è il caso della Snam e del suo slogan “Il metano è natura”, per ala quale la società fu sanzionata, e la Coca Cola, che è finita nel mirino dell’Antritust italiano per pubblicità che enfatizzavano l’utilizzo di ingredienti naturali (e la loro implicita qualità salutare) quando in realtà non era così. Riprendiamo per questo alcuni esempi dal sito MeglioPossibile.it:
Lo zucchero esiste in molta frutta e verdura – una fonte di nutrienti importanti – come le carote e le banane. […] Ne siamo da sempre attratti! Infatti, è proprio la dolcezza che fa sì che tutti i neonati della specie dei mammiferi, tra cui gli esseri umani, siano attirati da cibi e bevande sicuri e nutrienti.
Altro caso famoso di greenwashing riguarda l’acqua San Benedetto: l’azienda fu multata a suo tempo di 70 mila euro per pubblicità ingannevole: tra il 2008 e il 2009 sono apparsi annunci che vantavano grande ecosostenibilità e riduzione nell’utilizzo di plastica, che tuttavia, si scoprì, non erano collegati a studi che potessero giustificarne la veridicità.
Altre volte i casi di greenwashing non sono così lampanti. Ne è un esempio la Galaxy Chocolate inglese, che utilizzava cocco “etico” per davvero, ma glissava sul fatto che il largo utilizzo di olio di palma per il prodotto aveva un alto impatto ambientale, tra deforestazione di aree naturali e correlata distruzione di habitat per varie specie protette.
Photo credits | Lauri Rantala su Flickr