Secondo molti può essere il colpo definitivo al ritorno al nucleare, e mentre noi ce lo auguriamo, non possiamo fare altro che ammirare l’ambizione del Paese del Sol Levante. Il Giappone ha infatti annunciato la costruzione entro luglio prossimo del più grande parco eolico off-shore del mondo. Esso sarà composto da 143 turbine installate al largo della costa di Fukushima (non a caso), tanto in quell’area non si potrà più pescare chissà per quanti decenni. Dunque perché sprecarla?
Sarebbe davvero un bello smacco per i sostenitori del nucleare. Complessivamente, quando entrerà in funzione a pieno regime entro il 2020, produrrà 1 Gigawatt di potenza. L’attuale record spetta ad un parco britannico del Suffolk che con un numero di poco inferiore di turbine produce circa la metà della potenza stimata. Certo, non sarà quanto riesce a produrre una centrale nucleare, ma almeno è più sicuro, ed in caso di terremoto o tsunami, al massimo si spezza in due senza creare altri disagi. Il progetto rientra in uno più ampio avviato già dal precedente Governo che voleva uscire completamente dal nucleare, e che mira all’autosufficienza energetica entro il 2040.
L’attuale Governo ha ancora fiducia nella vecchia e pericolosa forma energetica, tant’è che ha già riavviato due dei 54 reattori, ma non sembra avere grosse speranze di riavviarne anche solo la metà del totale. Per questo non esclude che il fabbisogno energetico nazionale possa essere garantito in gran parte dalle rinnovabili. Sempre nella prefettura di Fukushima, dove evidentemente non dovrebbe più essere riavviata la centrale, è per lo stesso motivo in progetto il più grande parco fotovoltaico del mondo.
I giapponesi, si sa, sono molto efficienti, e dato che il loro territorio è molto piccolo non possono di certo permettersi di lasciare inutilizzata una grandissima area come quella di Fukushima dove non si potrà vivere, lavorare e coltivare la terra per decenni. E allora la soluzione la offrono proprio le rinnovabili, permettendo la costruzione di un enorme distesa di pannelli.
[Fonte: New Scientist]
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