La scorsa settimana vi abbiamo riportato dell’incidente, con tanto di rischio di disastro ambientale, sulle coste dell’Alaska. A provocarlo è stata un’incauta nave-trivella della Shell, la Kulluk, che si è inoltrata troppo nei ghiacci per poi rimanere incagliata e rischiare di far perdere milioni di litri di petrolio in mare. Nonostante la tragedia sia stata evitata, le cose non sembrano volgere per il meglio. Anzi…
Le condizioni metereologiche sono pessime, è praticamente impossibile lavorare lì, tanto che uno dei soccorritori aveva persino messo in dubbio le operazioni di salvataggio, affermando che fosse troppo buio e che le condizioni meteo fossero terribili. Tutto, come detto, è finito bene, ma nonostante questi avvertimenti, la compagnia petrolifera ha intenzione di riprovarci. Anche perché non sembra interessarsi alle conseguenze di un eventuale incidente che abbia un finale diverso da quello a cui abbiamo assistito qualche giorno fa.
Durante un’interrogazione parlamentare avvenuta nel Regno Unito nel marzo scorso, è stato chiesto al capo di Shell, Peter Velez, delucidazioni su eventuali coperture in caso di incidente. Riassumendo, la sua risposta è stata che non ne ha idea, tanto poi ci pensano gli azionisti. Più chiaro di così. Ma c’è di più. Nello scorso luglio una chiatta dell’azienda aveva salpato per l’Artico senza l’autorizzazione necessaria perché non superava gli standard di sicurezza degli Stati Uniti. Secondo la US Coast Guard le navi della Shell non sono sicure, ed anche secondo gli esperti che hanno risolto il problema della marea nera nel Golfo del Messico, ciò che può accadere nelle fredde acque polari resta un’incognita per tutti.
A tutto ciò va aggiunto che la possibilità che ci sia un’incidente non è remota ma praticamente certa, resta da vedere quando accadrà. Negli scorsi mesi infatti si sono verificati diversi incidenti delle navi della Shell, anche in luoghi relativamente più calmi dell’Antartico. Il 15 luglio una nave si è incagliata al largo dell’Alaska, a novembre un’altra ha addirittura preso fuoco, mentre nel settembre scorso il sistema di emergenza che avrebbe dovuto tappare eventuali perforazioni causate dagli incidenti si è letteralmente “schiacciato come una lattina di birra” (definizione dell’Ufficio federale di sicurezza) durante una simulazione. E come se non bastasse, il vicepresidente di Shell Alaska, Pete Slaiby, ha ammesso negli scorsi giorni che l’eventualità di una perdita di petrolio nell’area è praticamente certa. Non capiamo come mai continui ad operare impunita.
[Fonte e foto: Greenpeace]