A causa del sovrasfruttamento della pesca in Europa, l’Unione ha decretato una serie di regole stringenti che dovrebbero salvaguardare le specie in via di estinzione ed evitare che i nostri mari assomiglino sempre più ad un deserto. Ma siccome la ricerca del profitto viene sempre prima di qualsiasi norma, pare che molte barche europee abbiano deciso di superare i propri confini per andare a pescare altrove. E nonostante le regole ferree del Vecchio Continente piacciano un po’ ovunque, non vengono stabilite in nessun’altra parte del mondo.
Per questo il WWF ha denunciato questo fenomeno ed ha chiesto che anche al di fuori dell’Europa le regole in merito possano valere, visto che il rischio di pesca eccessiva non cambia se si cambia l’area di azione. Inoltre gli attivisti hanno chiesto all’UE di stabilire che le barche europee seguano le stesse regole che seguono da noi anche oltre le acque territoriali di competenza.
Lo studio effettuato dal WWF ha dimostrato come dal 1950 ad oggi l’area in cui si applica la pesca intensiva sia aumentata di 10 volte (oggi siamo arrivati ad oltre 100 chilometri quadrati), un terzo degli oceani di tutto il mondo. E per aggirare le limitazioni circa 700 navi battenti bandiera di una delle nazioni europee sono state viste “espatriare” ogni anno nelle acque dal Marocco al Madagascar, quando non arrivavano ancora più lontane (persino nelle isole Falkland, vicino l’Argentina).
La pesca in acque straniere è guidata dalla Spagna con quasi il 60% delle imbarcazioni che escono dai confini nazionali, seguita dalla Gran Bretagna. Il motivo principale per cui ciò avviene è che molti stock ittici in Europa sono ormai terminati, e per questo ci si sposta in altre zone. In questo modo si rischia di farli esaurire anche altrove, in modo da farci ritrovare, tra 20 o 30 anni, senza più nemmeno un pesce in mare. Di certo non una strategia geniale.
[Fonte: The Guardian]
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