E siamo a due. Dopo aver di fatto cancellato il referendum sul nucleare (anche se la parola definitiva ancora non è stata detta), ora il Governo ha deciso di smontare anche la mobilitazione in sostegno dell’acqua pubblica. E’ bastata una frase detta dal ministro Romani (che ricordiamo non era ancora ministro ai tempi della legge contestata dai promotori referendari), per scatenare il putiferio.
Su questo tema, di grande rilevanza, sarebbe meglio fare un approfondimento legislativo
ha detto l’on. Romani a Radio Anch’io, ed immediatamente il mondo civile e politico si è mobilitato, gridando all’ennesimo raggiro del Governo che sta togliendo tutte le fondamenta del referendum del 12 e 13 giugno, nella speranza che il quesito che sta più a cuore a Berlusconi, quello sul legittimo impedimento, non raggiunga il quorum.
Il problema in questione riguardava due quesiti che, per dirla in sintesi, facevano uscire l’acqua dal mercato dei beni che possono produrre profitto, lasciandola come è stata per millenni, un bene comune che le autorità pubbliche devono tutelare come tale, e non trattare come merce di scambio. La sintesi perfetta della questione la offre Stefano Leoni, presidente del WWF Italia:
E’ un colpo di mano, si vuole togliere la voce ai cittadini: evidentemente c’è chi ritiene che le consultazioni popolari sui temi concreti facciano saltare le decisioni prese da pochi nell’interesse di pochi.
A Leoni fa eco il comitato 2 sì per l’Acqua bene comune, che denuncia come il Governo si sia spaventato di fronte al milione e 400 mila firme raccolte per il referendum, mentre il Verde Bonelli, già molto “agitato” dopo l’ultimo decreto sul nucleare, urla:
E’ in atto un secondo tentativo di truffa. Sul nucleare il Governo ha già cancellato le norme su cui poggiano i quesiti referendari dicendo esplicitamente che valuterà se reinserirle in un secondo tempo con modifiche trascurabili. Significa prendere in giro gli italiani e violare la Costituzione che assegna ai cittadini la possibilità di esprimersi direttamente attraverso i referendum.
Ma siccome la legge costituzionale italiana, con oltre 60 anni di anticipo, ha previsto anche che qualche governante possa fare il furbo, ecco che tra le varie voci spicca quella di Valerio Calzolaio, coordinatore del Forum Sel sui beni comuni, che aggiunge un nuovo tasseollo al dibattito:
va ricordato che abbiamo un sistema legislativo che offre una serie di paletti a protezione del voto popolare. Una volta avviato il processo referendario un’abrogazione delle norme, o attraverso le urne o attraverso un preventivo intervento normativo, ha effetti giuridici abrogativi che durano cinque anni.
Ciò significa che, se davvero il Governo porrà il veto alla costruzione delle centrali nucleari e alla privatizzazione dell’acqua, non potrà riprendere in mano questi progetti almeno fino al 2016. Un autogol clamoroso dunque per questa classe politica che si ritroverebbe con le mani legate per i prossimi 5 anni.
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