Il Santuario dei Cetacei viene di nuovo messo in pericolo dall’uomo. Questa volta a mettere a repentaglio la vita di delfini e balene è un progetto di cui pochissimo si è parlato, ma che certo non è sfuggito a Greenpeace.
Si tratta della realizzazione di un rigassificatore offshore davanti la costa tra Pisa e Livorno, dove non solo si trova il Santuario dei Cetacei, ma anche le Secche della Meloria, da poco Area Marina Protetta. Il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera alla realizzazione dell’impianto e ad ulteriori modifiche che potrebbero comportare altri danni ambientali.
A confermare i timori di Greenpeace ci sono alcune ammissioni della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale, chiamata a valutare i rischi e l’impatto ambientale della costruzione offshore. La Commissione ha dichiarato che una valutazione adeguata sull’impatto che lo scarico di cloro e che l’inquinamento acustico prodotto dall’impianto non è mai stata eseguita. Questo vuol dire che balene e delfini che popolano questo tratto di costa della Toscana sono a rischio. A danneggiare il loro ecosistema saranno le 3,6 tonnellate di cloro che ogni anno saranno versate in mare, e saranno a loro volta causa di composti organo-clorurati tossici non facilmente biodegradabili. Non è da sottovalutare neppure il rumore che verrà prodotto dall’impianto e che potrebbe aumentare con lo spostamento di alcuni macchinari nello scafo della nave. Questa modifica progettuale è stata definita dalla Commissione “altamente compatibile con l’ambiente”eppure a fine documento la stessa Commissione richiede un monitoraggio più approfondito sul rumore prodotto e sui cetacei che popolano il Santuario dei Cetacei, delfini e balene che nella VIA del 2004 non erano neppure contemplati.
Il 26 agosto 2010 perlatro è entrato in vigore il decreto sulla regolamentazione delle trivellazioni offshore in aree protette che vieta difatto
Attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale.
Perché non applicarlo anche alla realizzazione di un rigassificatore offshore?
[Fonte: Greenpeace]
Carlo 17 Agosto 2011 il 3:42 pm
Questo tipo di impianti viene generalmente proposto nella configurazione “a ciclo aperto”: si preleva acqua di mare per sottrarle il calore che serve a riportare allo stato gassoso il GNL (arrivato via nave sotto forma liquida, a -162°C), restituendola poi al mare più fredda e clorata. Questo comporta una sterilizzazione quasi totale della massa d’acqua adoperata, per via degli shock meccanico e termico (a questi sono da imputare le schiume al largo della foce del Po), a causa dell’impiego di cloro che implica il rilascio di sostanze tossiche (i cloro-derivati organici), infine per la perdita dei servizi ecosistemici forniti dall’habitat marino (autodepurazione, assorbimento di CO2, habitat di specie ittiche).
A mia conoscenza, l’impianto attualmente proposto a Capodistria (Slovenia) è l’unico, della dozzina di progetti che ho visto, che funzionerebbe “a ciclo chiuso”: i progettisti, consci dei problemi ambientali di questo litorale, non ricorrerebbero all’impiego di acqua di mare ma ricaverebbero il calore utile alla rigassificazione da altre fonti. Ad esempio la combustione di un’aliquota marginale del gas conferito in impianto (ne basta l’ 1,3% !) è sufficiente per riportare il metano dalla fase liquida a quella gassosa.
Ma è da qualche anno ormai (dal 2000) che, con decreto del Ministero dell’Ambiente, la Regione Veneto ha ottenuto il divieto dell’utilizzo del cloro come “agente antifouling” nei circuiti industriali che scaricano in laguna di Venezia, in considerazione dei problemi che questa sostanza causa alle biocenosi di un habitat tanto delicato.
Gli impianti proposti consumano notevoli quantità d’acqua di mare (si dice l’equivalente, in un giorno e per ciascuno di essi, di un palazzo di 20 piani avente per base un campo di calcio come quello di San Siro). A questo punto è giunto il momento di valutare se è il caso di estendere la limitazione in vigore in laguna di Venezia a tutte le nostre acque territoriali, per impianti di questa “voracità” là dove esistono alternative tecnologiche percorribili (il cosiddetto “circuito chiuso”), anche se si dimostrano economicamente meno convenienti (ma lo sono di ben poco !) per il gestore dell’impianto.
I rigassificatori, se servono, vanno fatti a condizione di essere seri nella valutazione d’impatto ambientale e non prendendo acriticamente per buone le sole proposte dei progettisti. Questi ultimi, nel dover scegliere tra un minor impatto e un maggior profitto, di sicuro non hanno perplessità. Ma i gestori del “bene comune” ….?