Buone notizie arrivano dall’altra parte del mondo dove, al vertice delle Nazioni Unite di Cancun, i negoziatori cinesi hanno deciso di dare una svolta, stavolta in positivo, alle trattative. Per capire meglio la situazione bisogna fare un passo indietro.
La Cina lo scorso anno fu il primo responsabile, in coabitazione con gli Stati Uniti, del fallimento della conferenza di Copenaghen. Quest’anno il congresso messicano sembrava fosse iniziato sotto i peggiori auspici, con Giappone e Canada che si tiravano indietro rispetto al prolungamento del protocollo di Kyoto ed i Paesi poveri, guidati dall’Alternativa Bolivariana, che minacciavano di far saltare tutto se non si fosse trovato l’accordo. Ma ecco che, quando tutto sembrava precipitare, la Cina ha deciso di risollevare i negoziati ed aprire a nuove trattative.
Ancora il capo negoziatore cinese Su Wei non ha voluto dare cifre, ma è bastato che pronunciasse le fatidiche parole “troviamo un accordo sul taglio delle emissioni”, che immediatamente i destini di Cancun si sono ribaltati. Anche i delegati dell’India, un altro tra i Paesi a più forte tasso di emissioni, sono passati dal “niet” totale all’apertura dei colloqui, e di conseguenza anche i Paesi Al.Ba. si sono calmati e si sono seduti intorno ad un tavolo.
A differenza di 365 giorni fa, la Cina si è detta disponibile ad applicare, all’interno del suo Paese, dei limiti alle emissioni industriali. La strategia è chiara: puntare sulle rinnovabili, settore in cui il colosso asiatico già primeggia. Se però questo enorme Paese dovesse decidere di convertire la produzione elettrica a carbone in alternative pulite, lo stesso sarà disponibile a fare l’India, ma tutto questo a partire dal 2020. Questa è una nota stonata dato che l’Unione Europea aveva chiesto di iniziare subito con i tagli per scongiurare l’incremento delle temperature medie di 2 gradi entro il 2100. Una possibilità che, secondo gli studi internazionali degli ultimi tempi, sembra inevitabile, ed anzi sarebbe già una vittoria se si riuscissero a non superare i 3 gradi.
Secondo l’ultimo rapporto di Greenpeace, il tasso di mortalità con l’aumento delle temperature dovrebbe salire del 3% in tutto il mondo per ogni grado di aumento medio. Ciò significa che, nella più rosea delle previsioni, registreremo un +9% di morti nel 2100 a causa del riscaldamento globale. Resta comunque una mossa importante quella della Cina, perché oltre a trascinare con sé molti Paesi inquinanti in via di sviluppo, potrebbe far cambiare idea a quei Paesi che non vogliono più proseguire con Kyoto, darebbe linfa vitale all’Europa, unica al mondo a sforzarsi davvero per ridurre le emissioni, e soprattutto darebbe uno scossone agli Stati Uniti che, in questo modo, rischiano di restare l’unico grande Paese a non far nulla per combattere i cambiamenti climatici. Cosa fare perché tutto ciò accada? Basterebbe migliorare o almeno lasciare intatto il protocollo di Kyoto, prorogandolo anche a dopo il 2012. Sembra un’impresa impossibile, ma al momento è l’unica speranza per evitare la catastrofe.
[Fonti: Corriere della Sera; Ansa]
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