Che il Living Planet Report, divulgato al mondo via web, ci presentasse il ritratto di un pianeta fragile e martoriato lo si sapeva. La grave situazione in cui versa l’ecosistema planetario a causa dell’insostenibile pesantezza della nostra specie palesa ancora una volta il fallimento dei modelli economici sin qui perseguiti e basati sulla crescita materiale e quantitativa continua. Ma, come dice Yann Arthus-Bertrand nel bellissimo documentario Home, non c’è più tempo per essere pessimisti.
Nelle nuove dimensioni di un’economia eco-sostenibile, il pensiero economico deve comprendere l’attenzione per gli esseri umani e per i sistemi naturali del pianeta, tra di loro indissolubilmente legati. Ecco il decalogo presentato nell’ultimo capitolo del Living Planet Report per porre le basi di una reale economia green.
- Includere la natura negli indicatori di benessere. Devono mutare unità di misura e parametri in base ai quali il benessere è valutato. Il PIL non tiene conto dei benefici sociali come un aumento di reddito pro capite non incrementa il reale benessere dell’umanità. I vecchi indicatori dovranno essere integrati con altri che tengano conto del grado di armonizzazione della vita umana con quella dell’ecosistema-teatro della nostra esistenza. Tra questi l’indice di sviluppo umano, l’indice del pianeta vivente e l’impronta ecologica.
- Investire nel capitale naturale E’ necessario capitalizzare la natura, dandogli un valore economico (attenzione un valore, non un prezzo) al fine di organizzare dei veri e propri programmi di investimento nella tutela del capitale naturale che è la base stessa del benessere e dell’economia delle società umane.
- Aumentare le aree protette. L’obiettivo della Convenzione sulla Biodiversità (CDB) fissato nella protezione di un 10% di ogni regione ecologica, peraltro raggiunto solo nel 55% dei casi, deve essere aumentato ad almeno un 15%. Le aree protette avranno un ruolo strategico di cuscinetto nei confronti dei futuri e certi cambiamenti climatici in quanto atte a comportarsi come spot di resilienza e di mitigazione capaci di ripristinare un nuovo equilibrio ecosistemico a seguito dei mutamenti.
- Difendere i biomi planetari: foreste, acque dolci ed oceani. Per conseguire l’obiettivo “zero deforestazione“ fissato a Bonn nel 2008, le aree protette non sono più sufficienti e dovranno essere integrate con migliore pratiche selvicolturali e gestionali nella filiera produttiva. Dovranno essere progettate dighe ed infrastrutture ed attuate pratiche agricole che riducano gli sprechi ed ottimizzino l’equilibrio fra diritto universale all’acqua potabile, fabbisogno umano e salvaguardia dei sistemi idrografici. Dovrà essere ridotta a livelli di prelievo sostenibile la capacità delle flotte di pescherecci che è attualmente prima causa della perdita di struttura e di biodiversità degli ecosistemi marini e dovrà essere praticata una pesca altamente selettiva, concentrata solo sulle specie effettivamente edibili e sugli individui adulti.
- Investire nella biocapacità. Si dovranno attuare migliori pratiche di gestione agricola del suolo, volte ad aumentarne l’efficienza produttiva mantenendone la fertilità e contenendo l’impronta ecologica. Si dovranno mettere in contatto i produttori sostenibili con i mercati internazionali innescando meccanismi virtuosi da assumere come prassi, sino a che la sostenibilità dei prodotti non diventi più un valore aggiunto ma una condizione minima e necessaria per la vendita.
- Valorizzare la biodiversità e i servizi ecosistemici. Come al punto 2 anche la biodiversità, come i servizi ecosistemici che la natura offre al benessere umano, dovranno essere quantificati economicamente e considerati nelle voci delle analisi costi-benefici che presiedono alle politiche di gestione in materia d’uso del suolo. E’ necessario che il prezzo dei prodotti comprenda il costo di esternalità come risorse idriche, stoccaggio del carbonio e ripristino di ecosistemi degradati.
- Scegliere energia pulita e un’alimentazione sostenibile. Una fornitura di energia pulita e rinnovabile per tutti è possibile. Si dovrà investire nell’efficienza energetica degli edifici e dei trasporti, passare all’elettricità come fonte energetica primaria e, tassativamente, eliminare la dipendenza dai combustibili fossili. Si dovranno ridurre gli sprechi alimentari e diventare consumatori più critici e si dovrà mettere tutta l’umanità nelle condizioni di fare ciò.
- Pianificare l’utilizzo del territorio per conciliare cibo, combustibili e conservazione. Secondo la FAO, per nutrire la futura popolazione mondiale sarà necessario incrementare la produzione alimentare del 70%, considerata la necessità di destinare aree significative di terreni e di foreste a biocombustibili e biomateriali si prevede una corsa al territorio sempre crescente, corsa che in Africa ha già dato luogo a scontri violenti. La biocapacità è già diventata argomento di geopolitica, si dovranno trovare nuovi strumenti e procedure per gestire la crescente richiesta di territorio.
- Condividere le risorse, limitare le disuguaglianze. Mentre i governi dovranno pensare a garantire un equo accesso e una giusta distribuzione di energia, risorse idriche e cibo, fra nazioni e persone, i singoli individui dovranno evitare gli sprechi ed il superfluo, acquistare un maggior numero di merci prodotte in maniera sostenibile, ridurre i propri viaggi e mangiare quantitativi minori di carne.
- Avviare strategie globali. Un impegno nazionale volto a preservare la biodiversità e ad avviare uno sviluppo sostenibile, non sarà più sufficiente. Non c’è più tempo per politiche istituzionali fallimentari che hanno portato sinora ad un raggiungimento parziale ed insoddisfacente di questi obiettivi. Saranno necessarie anche azioni collettive internazionali volte ad affrontare problematiche globali, come l’eliminazione dei sussidi e della disuguaglianza mondiale.
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