Un mare malato, insanguinato dalle mattanze, saturo di pesce inquinato da mercurio: è quello che fa da sfondo a The Cove, il film-documentario che ha commosso il mondo ed imbarazzato il Giappone, aggiudicandosi il premio Oscar 2010 della categoria.
Prendi Richard O’Barry, l’ex addestratore, pentito, del delfino Flipper, protagonista della famosa serie tivù. Uno che sa il fatto suo sul sorriso, finto, dei delfini in cattività e che ha promesso di fare qualcosa dopo il suicidio dell’animale, avvenuto a riflettori spenti, tra le sue braccia, e non sullo schermo. Il delfino star che smette, volontariamente, di respirare. Così O’Barry a proposito della morte di Flipper.
Fallo incontrare con Louie Psihoyos, regista, fotografo per il National Geographic, amante degli abissi, di un amore profondo che non poteva che venire a galla in una denuncia urlata, uno sdegno approdato nelle sale di tutto il mondo, persino in Giappone, dopo tante polemiche, passato un po’ in sordina in Italia.
Qualche giorno fa, il documentario realizzato da attivisti intrufolatisi nella baia di soppiatto, è stato trasmesso in esclusiva su Current Tv, la televisione di Al Gore. Per chi volesse acquistare libro più dvd, c’è il cofanetto edito da Feltrinelli in collaborazione con Legambiente per la collana Real Cinema.
The Cove è una sorta di thriller ambientalista ad alta tensione, ha vinto più premi di qualsiasi altro documentario: ambientato nelle acque del National Park di Taiji, Wakayama, in Giappone, è stato filmato di nascosto nel corso del 2007 utilizzando microfoni subacquei e videocamere ad alta definizione, camuffate da rocce.
Documenta la feroce mattanza dei delfini da parte dei pescatori locali, attraverso l’uso di ganci aguzzi, lance penetranti e onde elettromagnetiche che disattivano il sistema comunicativo dei mammiferi, il sonar.
La cattura avviene in parte con l’intento di vendere esemplari agli acquirenti occidentali al prezzo di 150mila dollari l’uno, destinati ai parchi acquatici di tutto il mondo. Non tutti ovviamente fanno questa “bella” fine, molti vengono uccisi barbaramente con le lance, la loro carne venduta. Piena di mercurio, tanto che i politici del posto ne hanno vietato il consumo nelle mense scolastiche.
Il documentario spiega che la maggior parte della popolazione giapponese è all’oscuro della mattanza dei delfini nelle acque di Taiji. Dal Giappone arriva la risposta che il film è una messa in scena. Accuse ovviamente respinte con fermezza dal regista e dalla sua troupe, che ribatte:
Le scene sono tutte vere. In Giappone vengono uccisi 23 mila delfini all’anno. E vengono spacciati e venduti anche come carne di balena.
[Foto: Thecove: Lazampa]
Mattia 21 Settembre 2010 il 9:09 am
Bellissimo documentario, mi ha fatto commuovere 🙂
Paola Pagliaro 21 Settembre 2010 il 11:35 am
sinceramente ho sempre pensato che i delfini dei parchi acquatici sorridessero, a Genova ho pagato per vederli… ma se un addestratore dice che sono profondamente infelici al punto di suicidarsi smettendo di respirare volontariamente è terribile 🙁
mi ha sconvolto più questa cosa della mattanza, perché ero preparata dopo aver visto quella delle balene alle Far Oer…