Ancora bufera sulla BP. E’ il New York Times a rivelare che, in alcuni documenti, in particolare un’email aziendale precedente al disastro, si presagisce l’arrivo della marea nera. O meglio, si prendono decisioni rischiose, volte a risparmiare tempo e denaro, tagliando sulle misure di sicurezza. Nella mail incriminata, la piattaforma Deep Horizon, esplosa il 20 aprile scorso provocando la morte di undici lavoratori, viene definita un incubo.
Cosa spingeva, all’interno della compagnia petrolifera, ad esprimersi in questi termini, se non la consapevolezza di un’imminente catastrofe? E’ l’interrogativo che pone la House Committee on Energy and Commerce alla BP in una lettera, indicando almeno cinque aree in cui la società avrebbe preso decisioni che aumentavano il rischio di un’esplosione.
Se credevamo che la British Petroleum avesse ormai toccato il fondo, questi documenti ne aggravano ulteriormente la posizione, dando evidenza di un disastro imputabile totalmente alla compagnia petrolifera, causato dalle scelte risicate dell’azienda stessa in materia di sicurezza e prevenzione dei rischi.
Alcune decisioni prese dalla BP nelle settimane precedenti al disastro sembrano addirittura violare le linee guida del settore nonché i ripetuti avvertimenti degli stessi dipendenti BP. Un’inchiesta ha evidenziato che i ritardi nel completamento del pozzo spinsero la compagnia ad esercitare pressioni per ottenere delle scorciatoie: così si è accelerato sui lavori riguardanti la progettazione del pozzo, sulla preparazione e le verifica del lavoro di cementazione, nonché sui controlli che dovrebbero vigilare il pozzo sia ben sigillato in cima.
Poco prima della fusione, gli ingegneri BP optarono per un sistema più veloce, meno costoso, per la stringa finale del telaio, il tubo d’acciaio che sigillava il pozzo. Il design scelto è costato circa 7-10 milioni di dollari in meno rispetto ad un altro metodo. Ma la stringa affusolata ha accordato una protezione minore, provocando la risalita del gas. La Bp avrebbe inoltre risparmiato sul cemento, scegliendo di utilizzare molti meno centralizzatori, dispositivi che mantengono la stringa finale del telaio ben centrata nel foro: ne ha impiegati solo sei dei ventuno raccomandati. In aggiunta non avrebbe testato la qualità della barriera di cemento, come previsto dalle procedure di sicurezza.
I vertici della BP dovranno rispondere del disastro domani alla Casa Bianca, nel corso dell’incontro fissato con Obama. Intanto c’è attesa stasera in America e nel mondo proprio per il discorso di Obama, al rientro dal suo ennesimo sopralluogo nel Golfo del Messico.
Il presidente degli Stati Uniti parlerà alla nazione dall’Ufficio Ovale alle 20 di Washington, le due di notte in Italia. E siamo certi che nemmeno stavolta farà sconti a nessuno. Né a se stesso (ha ammesso più volte le sue responsabilità), né alla BP. Certo la scoperta di questi documenti che parlano di evidenti economie nella gestione delle misure di sicurezza potrebbe alleggerire la posizione di Obama di fronte al Paese. La responsabilità non verrebbe così a cadere sulla sua autorizzazione a proseguire le trivellazioni off-shore, bensì completamente sulla BP, che ha elemosinato sulle norme preventive, provocando il disastro. Disastro che, ricordiamo, è costato la vita a centinaia di animali ed uccelli marini e ha provocato danni inestimabili all’economia costiera delle aree colpite, compromettendo il turismo e la pesca.
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