Etichettati spesso come i primi veri ecologisti, attenti alla difesa degli equilibri della Madre Terra, rispettata e onorata, i Nativi Americani sono ora sotto accusa a causa di una stalagmite (nella foto a destra). Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Ohio University suggerisce infatti, sulla base del ritrovamento di un reperto, che i primi Nativi Americani hanno lasciato un’impronta di carbonio più grande di quanto si pensasse, fornendo prove che l’uomo è stato colpito dal riscaldamento globale già molto tempo prima dell’era industriale moderna.
L’analisi chimica di una stalagmite trovata nel bacino montuoso di Buckeye Creek nel West Virginia suggerisce infatti che gli indigeni americani hanno contribuito ad un significativo aumento del livello di gas serra nell’atmosfera attraverso lo sfruttamento del territorio. I primi Nativi Americani bruciavano gli alberi delle foreste per far spazio a colture di alberi da frutto, come le noci, che rappresentavano gran parte della loro dieta.
“Essi avevano raggiunto un livello abbastanza sofisticato di vivere che non penso le persone abbiano pienamente apprezzato”, ha spiegato Gregory Springer, professore associato di scienze geologiche alla Ohio University e autore principale dello studio, pubblicato di recente sulla rivista The Olocene. “Erano molto progrediti, e hanno saputo ottenere il massimo delle foreste e dai territori in cui vivevano in tutto il Nord America, non solo in poche aree (come avviene oggi, ndr).”
Inizialmente, Springer ed i suoi collaboratori dell’Università del Texas ad Arlington e dell’Università del Minnesota stavano studiando i cicli di siccità nel corso della storia nel Nord America facendo uso degli isotopi di carbonio nelle stalagmiti. Con loro grande sorpresa, la registrazione dei dati sul carbonio conteneva elementi di prova di un grande cambiamento negli ecosistemi locali a partire dal 100 a.C. Questo ha incuriosito il team di ricerca perché uno scavo archeologico in una grotta vicina aveva dato prova della presenza in zona di una comunità di Nativi americani circa 2.000 anni prima.
Springer ha così reclutato due studenti dell’Università dell’Ohio per esaminare i sedimenti dell’insediamento e, con l’aiuto di Harold Rowe dell’Università del Texas ad Arlington, la squadra ha scoperto livelli elevati di carbonio già 2.000 anni fa, simili a quelli degli isotopi osservati nella stalagmite.
“Questa evidenza suggerisce che i Nativi Americani hanno notevolmente modificato l’ecosistema locale, dando fuoco alle foreste, probabilmente per rendere fertili i campi e favorire la crescita di alberi da frutta a guscio”, ha spiegato Springer. “Questo va in conflitto con la nozione popolare che i primi Nativi Americani hanno avuto poco impatto sui paesaggi del Nord America. Certo essi erano gestori migliori della terra rispetto ai colonialisti europei che li hanno seguiti, ma a quanto pare hanno bruciato più foreste di quanto si pensasse.”
“Molto prima di bruciare combustibili fossili, come avviene oggi, l’America era già piena di gas serra nell’atmosfera. Certo non allo stesso livello di oggi, ma questo ha posto le basi”, ha proseguito Springer.
Questo disboscamento della terra tanto tempo fa avrebbe alterato il clima globale. Lo stesso processo lo ossserviamo oggi nella Foresta amazzonica, dove i grandi incendi e disboscamenti in atto sono una delle più grandi fonti mondiali di emissioni di gas serra.
“Gli incendi preistorici dei Nativi Americani sono stati meno intensi, è vero, ma rimangono pur sempre una fonte non trascurabile di gas serra immessi nell’atmosfera”, ha concluso Springer.
[Fonte: G. S. Springer, D. M. White, H. D. Rowe, B. Hardt, L. Nivanthi Mihimdukulasooriya, Hai Cheng, R. L. Edwards. Multiproxy evidence from caves of Native Americans altering the overlying landscape during the late Holocene of east-central North America. The Holocene, 2009; 20 (2): 275 DOI: 10.1177/0959683609350395]