Nonostante in molti si ostinino ancora a ribadire che i cambiamenti climatici non esistono e che non hanno alcun effetto, c’è una conseguenza di tali mutamenti, che sta diventando sempre più consistente sotto i nostri occhi: i senza tetto. Ovviamente qui non si parla di coloro che, per scelta o per povertà, decidono di dormire su una panchina alla stazione. Qui si tratta di un problema riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, di persone che perdono la propria casa a causa dei cambiamenti climatici.
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, 20 milioni di persone sono rimaste senza casa lo scorso anno a causa di un’insorgenza improvvisa di calamità ambientali. Ma questo numero già enorme, potrebbe arrivare al miliardo nei prossimi 40 anni se gli effetti del cambiamento climatico prenderanno piede.
Le nazioni insulari del Pacifico, che si sono fatte sentire a Copenaghen, stanno già sperimentando gli effetti del cambiamento climatico. Tuvalu ha registrato un aumento 7 centimetri del livello del mare nei 13 anni precedenti al 2005. Se questo non sembra significativo, considerate che il punto più alto dell’isola, popolato da 10.000 persone, è a soli 3,7 metri sopra il livello del mare quando c’è l’altra marea.
Noi viviamo nella costante paura delle conseguenze negative del cambiamento climatico. La minaccia è reale e grave, e non vi è alcuna differenza con una forma lenta e insidiosa come il terrorismo contro di noi
spiega il primo ministro Saufatu Sopoanga.
Nel Regno Unito, la minaccia del cambiamento climatico e dei senzatetto non è vista tanto come una crisi, ma come una opportunità di sviluppo. Come già spiegato in un articolo di qualche settimana fa, alcune città come Hull si stanno attrezzando per svilupparsi in maniera tale da non farsi trovare impreparati se un giorno i mari dovessero sollevarsi di alcuni centimetri o metri.
Negli ultimi dieci anni, le inondazioni sono state responsabili di più morti e distruzioni negli Stati Uniti rispetto a qualsiasi altra calamità naturale. Quando l’uragano Katrina ha colpito New Orleans nel 2005, oltre mille persone hanno perso la vita e 500.000 residenti sono stati costretti a fuggire o a trovare un riparo temporaneo. In un anno, meno della metà dei cittadini è tornato.
Se continuiamo ad essere mal attrezzati di fronte a calamità naturali come Katrina, come possiamo pensare di reagire di fronte a tali catastrofi, aggravate dai cambiamenti climatici? Le case possono essere distrutte dagli eventi naturali, ma possono anche essere ricostruite. Ma il terreno rovinato dalla siccità, o sommerso dal mare, non si recuperano più. L’eredità di insostenibili stili di vita occidentali non potrà solo perseguitarci in futuro, ma sta già avendo oggi un impatto devastante in alcune parti del mondo.
Rimboccarsi le maniche con progetti sostenibili di architettura non basterà ad arginare la marea crescente. Abbiamo bisogno di un impegno globale per la definizione di obiettivi vincolanti per ridurre le emissioni di carbonio. Se la possibilità di proporre un accordo significativo per Copenaghen è stata persa, cerchiamo di non perdere anche le prossime.
Fonte: [Treehugger]
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