Sessantacinque capi di Stato e di Governo hanno confermato che saranno presenti al convegno del prossimo mese sul clima organizzato dall’ONU a Copenhagen, il quale (ci si augura) porterà un forte impegno politico per un nuovo trattato per combattere il riscaldamento globale.
Anche se le speranze di raggiungere un accordo giuridicamente vincolante sembrano diminuire, l’incontro del 7-18 dicembre per i colloqui sul clima in cui sono stati invitati 191 leader si farà, ed in molti si sono già impegnati a non farlo fallire.
La conferenza di Copenaghen è stata inizialmente organizzata per i ministri dell’ambiente, ma ora la scena è pronta per un vertice, anche se non è ancora chiaro se il presidente Usa Barack Obama sarà presente. E non lo è nemmeno per il presidente italiano, Silvio Berlusconi, il quale si è sempre detto contro qualsiasi accordo vincolante, ed è tra i pochi in Europa a remar contro. Sicura invece la presenza della Ministra Prestigiacomo.
Per risolvere le questioni in sospeso e fare un accordo ambizioso, la partecipazione attiva dei capi di Stato e di Governo è fondamentale
ha dichiarato il Primo Ministro danese Lars Løkke Rasmussen. Un funzionario del governo danese ha anticipato che il numero dei leaders che hanno aderito finora è stato di 65, ma ha rifiutato di fornire un elenco completo con i nomi, aggiungendo che la Danimarca avrebbe lasciato ai leader i propri annunci. Egli ha osservato, tuttavia, che alcuni di essi, come quelli della Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Indonesia e Brasile, hanno annunciato la loro intenzione a partecipare.
Le Nazioni Unite hanno affermato questo mese che circa 40 presidenti avevano messo in programma di partecipare al meeting, per lo più rappresentanti di nazioni in via di sviluppo, prima ancora che l’invito fosse ufficiale. Il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso ha detto che sarebbe intervenuto.
Secondo gli analisti, la presenza dei leaders può aumentare le possibilità di trovare un accordo, ma la necessità di un vertice è un’ammissione del fatto che i negoziati sono in difficoltà, dopo gli ultimi incontri di Barcellona e Singapore.
Molte nazioni in via di sviluppo vogliono che i Paesi ricchi riducano le loro emissioni di gas a effetto serra, principalmente a causa dei combustibili fossili, di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020. Finora, le promesse fatte dagli Stati ricchi sono di gran lunga inferiori, e si attestano su tagli di circa l’11-15% con alcuni distinguo che superano anche il 50%.
L’UE ha promesso di ridurre le emissioni unilateralmente del 20% rispetto ai livelli del 1990 e fino al 30% se anche gli altri seguiranno l’esempio. Gli Stati Uniti però sembrano ancora indietro, e per ora le promesse si attestano al taglio delle emissioni di circa il 7% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, mentre l’altro colosso mondiale, la Cina, ha dichiarato di non volersi vincolare, ma di “fare quel che può”.
Fonte: [Reuters]